Alle otto del mattino, i posti di blocco dormono ancora:
i poliziotti presenti, sono al telefono a quest' ora.
Alcuni lavoratori mostrano le generalità,
per alcuni, misteriosamente, pare che la presenza non sia stata mai registrata,
altri ancora sono rimasti a casa. Cosa sensata.
Siamo in zona rossa, i negozi sono solo per loro,
peccato che non paghino nemmeno un caffè d’oro.
La zona rossa è il centro storico dell’Isola di Capri,
l’albergo è il più importante,
tutto è sotto la lente.
Ora bloccano tutto, tutto è militarizzato.
Cecchini sui tetti, il cielo è puntato.
Ma le delegazioni lavorano come topi nei piani interrati.
Hanno paura che un drone possa cadere sui loro destini.
Hanno scelto Capri, ma non se ne vedono bene,
pure il tempo ha fatto loro cattiva accoglienza,
mentre noi in questo gioco siamo solo pedine.
Articolo sul Carnevale anacaprese, datato 1992, di Anna Maria Pane.
ANACAPRI - Sabato scorso, in un pomeriggio sereno e assolato, un lungo corteo, ispirato alla figura e ai viaggi di Colombo, apriva ufficialmente il Carnevale anacaprese. Era ora! Finalmente una manifestazione è venuta a interrompere la sonnolenta routine della vita paesana, regalando 4 giorni di divertimento. Una saltellante Pantera rosa (alias Michele Alberino) e il gruppo folcloristico "Isola di Capri" precedevano i carri e i personaggi, tutti vestiti con ricchi e bellissimi costumi in velluto e broccato, opera di sarte o mamme che, con incredibile bravura, hanno contribuito alla preparazione della sfilata. II carro più ammirato era quello della Caravella, ricostruita artigianalmente, su modello originale, dal prof. Dino Lavorato, da Giovanni Tessitore, Salvatore Cappa e Franco Guarracino. Lo stesso Dino Lavorato e la moglie Ma-uela rappresentavano il Re e la Regina; Fabio Tessitore era un giovane Colombo, mentre numerosi alunni delle scuole materne, elementari e medie interpretavano dame, cavalieri e altri personaggi. Gli schizzi e i disegni dei costumi e delle acconciature, che hanno rispettato fedelmente l'epoca, erano stati preparati da Maria Giovanna Gargiulo che, come in altre occasioni simili, si è rivelata prodiga di preziosi consigli. Meritato, quindi, il 1 premio, consistente in una targa offerta dal Comune e in un prosciutto di Parma offerto dalla Ditta Meo. Il premio è andato alla riproduzione del castello, realizzato dalla "Schola cantorum" di Rosanna Ferraro. Al 3 posto si è classificato il Trono, i cui personaggi principali erano il Re, Antonio Lombardi e Colombo, Enzo Russo. Quarta arrivata, la Carrozza, anche questa ideata da Rosanna Ferraro e caratterizzata da un Colombo, Giuseppina Russo e da numerosi personaggi che indossavano splendidi costumi azzurri. Un particolare apprezzamento ha riscosso la "Regina", Marilena Mariniello, bellissima nel suo prezioso costume, che incedeva come una vera sovrana, affiancata da Colombo, Filippo de Martino. II soldato più ammirato era Ottavio Cacace, perfettamente a suo agio in un ruolo militaresco. Sono piaciuti, ancora, i personaggi rappresentati da Marcello Di Pace e da Marco Pollio. Altrettanto convincente era ''il monaco", Raffaele Balsamo, che con il suo metro e novanta, sovrastava tutto il corteo, dispensando sorrisi e benedizioni. Peccato, però, che dai personaggi non trasudasse molta allegria: non si muovevano, non ballavano, non cantavano. Non si sa se per rispetto alla serietà del tema o se in ossequio al Diktat di Guglielmo De Gregorio, l'assessore dell'Austerity. Una nota vivace, però, era data dalle canzoni che il gruppo della "Schola Cantorum" ha reinterpretato in chiave di parodia, ma in maniera talmente fedele agli originali, che pochi si rendevano conto di ascoltare le voci di cantanti nostrani. Peccato, anche, che non si siano potute sentire bene le musiche classiche trasmesse dal carro della "Caravella.... Oltre alla sfilata, numerose altre iniziative hanno arricchito il Carnevale: la "Schola Cantorum." ha rappresentato uno spettacolino, rivisitando, in chiave parodistica, i personaggi colombiani e ricorrendo a due originali oggetti ricostruiti in dimensioni gigantesche per simboleggiare l'inizio e il termine: la clessidra e la chiusura lampo di 5 metri. A un certo punto della serata la piccola Arianna Alberino donava al pubblico brividi di vera emozione, esibendosi, con Enzo Di Marino, in due interpretazioni non certo facili: ''Moon River. e "Immagine". Appassionati i giochi degli alunni della Scuola Media 'V. Gemito'', i ragazzi, sotto la regia del professor Andrea Ferraro e del presentatore-arbitro-starter Eugenio Catuogno, hanno sostenuto gare pazze e avvincenti: dal lavoro da falegname a quello da meccanico; dal tiro alla fune alla corsa a tre gambe; dalla dama alla pittura. Vincitrice è risultata la sezione «13», seguita dalla "C» e dalla "A». Altrettanto avvincente la Caccia al Tesoro che, però, sembrava piuttosto una caccia all'uomo: da Francesca Staiano a Isabella Palumbo, a Cristoforo Ariviello, ad Amerigo Arcucci senior e a tutti coloro le cui iniziali fossero C.C. Il Carnevale colombiano si è concluso con una grande festa al ristorante Paradiso, protagoniste le lasagne di Fabrizio Francucci. Le musiche dei complessi "The Father Band." e Tour Wheeldriven, esibitisi in serate precedenti, salutavano degnamente la serie di festeggiamenti. Intanto le strade di Anacapri erano invase da maschere di tutti i tipi e per tutti i gusti. Citiamo, solo per motivi di spazio, la sanguinolenta 'Ambulanza" di un'Usl che non vorremmo mai, e una fantastica e perfetta ''Famiglia Adams.., tanto convincente da meritare in premio 8 lasciapassare per la Festa al Paradiso.
Pensierino della notte Questo Carnevale ha dimostrato che quando si vuole, si può. Con un po' di spesa da parte del Comune, col volontariato e con la voglia di dare, vita al paese, si possono realizzare iniziative che rappresentano un positivo ritorno in termini sociali e produttivi: bar e ristoranti funzionavano a pieno ritmo, le strade erano affollate, il silenzio invernale è stato interrotto dalle musiche, dalle voci dei bambini, dalle risate. Il grigio è stato cancellato dai colori delle maschere e dalla pioggia dei coriandoli. La speranza può anche essere una bambina che canta "Imagine all the People/living for today....
Si narra che Michelangelo, contemplando una sua scultura appena terminata, (il Mosè), meravigliato dalla perfezione della sua opera, le scagliò contro il martello urlandole “PERCHÉ NON PARLI?!”.
Ma veniamo alle cronache capresi. Già c’era stato il panico generale per il caso di positività al coronavirus presentatosi ad Anacapri il 26 marzo, ma lo stesso intervento pubblico del ragazzo ammalato che spiegò nei dettagli la sua vicenda servì a tranquillizzare tutti o quasi. E in quella ritrovata tranquillità, accompagnata da un naturale allentamento della pressione, dovuta anche alle buone nuove nazionali, ci stavamo crogiolando, quasi convinti di essere ormai al sicuro.
Eppure c’era gente che ancora si dannava: “stanno arrivando i falsi residenti”, “sono stati fatti dei tamponi”, “ci sono dei maggiordomi filippini”... Sull'esempio di Anacapri, anche a Capri si arriva così alla pubblicazione di un'infografica sulla pagina FB della Città, la quale riporta 0 tamponi effettuati, e di conseguenza 0 positivi e 0 negativi. Ne nasce un diverbio social tra l’avvocato Concetta Spatola, pasionaria del diritto alla salute sull'isola, e Mario Cacciapuoti, dipendente del Comune, con la Spatola che invita a riferire qualche informazione: davvero non è stato effettuato alcun tampone? La risposta non arriva, ma l’assessore Bruno D’Orazi specifica in un altro commento che l’infografica è riferita ai soli dati odierni (del 1° aprile).
Mah... Il primo aprile, viene pubblicato anche un intervento video del sindaco Marino Lembo, teso a calmare le acque: non ci sono casi; il 118, che è l’unico organo responsabile dei tamponi, ha ricevuto un paio di segnalazioni, ma in entrambi i casi non ha ritenuto di dover procedere alle analisi. Quindi NO agli allarmismi.
Poi la sera del 3 aprile la doccia gelata: alle 19.45 la comunicazione di una nuova ordinanza che obbliga all'uso della mascherina anche per strada. Dopo due ore la notizia che una concittadina è stata trovata positiva al coronavirus, è asintomatica, si valuterà la quarantena vigilata o il trasferimento in una struttura sanitaria; altri due tamponi sono in attesa di risultato: il panico. Perché le hanno fatto il tampone se asintomatica? Con chi ha avuto contatti nei giorni precedenti?
Ma una notizia un po' originale non ha bisogno di alcun giornale. Come una freccia dall'arco scocca, vola veloce di bocca in bocca.
E in tempi di quarantena le notizie volano su whatsapp e facebook. In pochissimo tempo spuntano, da ogni dove, informazioni neanche tanto sicure, sull'identità della signora, su dove abiti, quando sarebbe arrivata, dove l’avrebbero vista, con chi avrebbe cenato, eccetera... Voci talvolta contrastanti. Ma alcune cose sarebbero appurate dai servizi investigativi del popolo.
La signora, non caprese, sarebbe arrivata qui già agli inizi di marzo e in realtà i sintomi di un possibile coronavirus li avrebbe accusati già dal 25, tanto da richiedere con insistenza un tampone.
E proprio queste “notizie” non confermate, ma neanche smentite, contrasterebbero con quanto affermato precedentemente dal Comune.
Ci si aspettava dunque nella giornata seguente, un comunicato del sindaco, o di qualche assessore, che so, una smentita, un’assunzione di responsabilità, o magari un j’accuse al 118 che non li avrebbe debitamente avvertiti... Invece niente.
Solo in serata una nuova infografica, anche piuttosto confusa, tanto che qualcuno la confonde per un enigma del Palillo... e sta ancora cercando il tesoro.
Intanto la paura è montata finendo per diventare rabbia: l’umore collettivo è ben espresso da un post di Luigi Aprea che raccoglie centinaia di approvazioni e condivisioni.
Ma le domande sono tante. Quando è veramente arrivata a Capri l’ammalata? Dove ha fatto la spesa? Come ha buttato i rifiuti? Ha avuto contatti con qualcuno? Ha preso mezzi pubblici? Ha indossato protezioni? Le istituzioni cosa sanno? C’è un responsabile della comunicazione? D’ALEMA DÌ QUALCOSA!
«L' uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono, e di quelle che non sono per ciò non sono» (Protagora, fr.1, in Platone, Teeteto, 152a)
Nel 2015 le aule della Certosa di San Giacomo sono state chiuse per sempre agli studenti del Liceo Classico. La Certosa non è più scuola, quella annessa al plesso monumentale, che doveva elevare l'animo dei ragazzi capresi. Almeno, così recitava l'insegna in pietra situata di fronte alla chiesa sconsacrata.
La Certosa ora è bene monumentale da proteggere (secondo la Soprintendenza), e contemporaneamente è un bene monumentale degradato e conservato in maniera indegna (secondo turisti e visitatori).
Sono passati quattro anni e le aule che circondano il chiostro grande sono tenute peggio di quando ci stavano ragazzi e professori. Gli intonaci dei soffitti sono caduti svelando le pietre e la pozzolana, i muri sono segnati dai tracciati di un impianto elettrico recente mai stuccato.
Oggi, 17 luglio 2019, stavano facendo qualche piccolo rappezzo con arena e cemento sul vialone principale che accoglie i visitatori e conduce al plesso monumentale, ma si tratta di qualche ritocco estetico dato che le parti dove il manto è maggiormente sconnesso (e dove uno può tranquillamente inciampare e rompersi le ossa) non è stato proprio toccato.
Se per curiosità andate a cercare la Certosa di San Giacomo su TripAdvisor vi capita di scovare foto di cardarelle piene di materiale di risulta, tubi abbandonati sul retro delle aule, erba alta nel chiostro grande e altre immagini di degrado.
Voi direte che non bisogna alimentare polemiche inutili perché, dopo il maxi evento di un mese fa, Bulgari ha tempo per pulire fino al 19 luglio? Bene queste foto sono del 2017, del 2018 e di Aprile 2019. Quelli di Bulgari, poverini, non centrano nulla.
Il parco per un ex studente del Liceo è un posto del cuore e rimane sempre bellissimo, solo per la vista e i ricordi, ma oggi è più spoglio che mai, meno piante, meno fiori, e magari meno zoccole. Il parco è un luogo magico e contemporaneamente un giardino brutto.
Se nel 2015 la sovrintendenza ritenne opportuno salvaguardare il plesso architettonico, nel 2019 ha deciso cosa vuole farci? Tre stanze per la mostra di Diefenbach, ed il resto?
Ci facciamo qualche bella stanza per i Sovrintendenti in vacanza? Ci avete pensato?
Valutate bene, però, ragionateci qualche altro anno ancora, perché poi ci sarebbe il problema dei topi che dal parco si infilano nelle camere da letto.
Stiamo parlando di un luogo dove fino a quattro anni fa si faceva Cultura tutto l'anno, ora a sprazzi e male. Dicevamo che l'uomo è misura di tutte le cose e allora a qualche omino non piaceva che parte della Certosa fosse adibita a scuola. Recentemente ad un omino non piaceva il fatto che il chiostro grande fosse utilizzato dai ragazzi che fanno danza. Evidentemente questo omino, nato vecchio, ha qualche forma avversione verso i ragazzi in generale e una passione per qualcos'altro che avrà valore per lui e per persone come lui che l'hanno messo in quella posizione. Ma per una persona comune l'abbandono attuale della Certosa di San Giacomo non trova alcuna giustificazione.
David, non si trasferì con i genitori, ma andò a far loro visita la prima volta a 16 anni: partì dall’Inghilterra in bicicletta, facendo un tour dell’Europa e sostenne le spese del viaggio dipingendo paesaggi e vendendo i suoi acquerelli lungo il tragitto.
Tornò poi in Inghilterra, diplomandosi in arte alla Westminster School di Londra.
Il suo incredibile talento nel disegno e in particolare la sua capacità di riprodurre perfettamente in scala qualunque cosa avesse dinanzi agli occhi, gli permisero all’età di 19 anni di entrare a lavorare nell’industria cinematografica come disegnatore scenico.
A soli 22 anni venne promosso a Direttore Artistico, diventando il più giovane in questo ruolo nella storia del cinema britannico. Lavorò quindi per la British International Pictures e poi per la Rank Organisation.
Durante la seconda guerra mondiale prestò servizio nella Marina. Nel 1940 la nave dov’era imbarcato, fu affondata da un cacciatorpediniere tedesco ed egli restò naufrago per tre giorni nel Canale della Manica. Sopravvissuto per miracolo, venne impiegato nella realizzazione di film per la propaganda militare inglese. Fu dunque lo scenografo di due grandi classici: 49th Parallel (Gli invasori) di Micheal Powell e In which we serve (Eroi del mare) di Noel Coward e David Lean.
Alla fine della guerra, David propose un’idea innovativa alla Rank Organisation, al fine di risparmiare nella produzione dei film girandoli interamente in studio: quello che oggigiorno viene definito il trasparente, ossia un particolare schermo su cui retroproiettare le immagini che faranno da sfondo alla scene. L’idea non piacque affatto agli attori e ai tecnici del tempo, i quali giustamente amavano viaggiare per andare a girare nelle località più esotiche e perciò osteggiarono e ridicolizzarono l’idea di Rawnsley. Il tempo gli diede ragione, ma nel frattempo, stanco di quel mondo, il nostro uomo aveva già lasciato il cinema per cimentarsi in qualcosa di nuovo!
Trasferitosi a Parigi, nel 1948, aprì il suo primo laboratorio di ceramica, entrando a contatto e collaborando con tantissimi artisti, in particolare Joyce Morgan. Cominciò a sperimentare nuove tecniche e l’utilizzo di più materiali per le sue sculture, quali creta, gesso, plastica, metalli e tessuti. Ideò inoltre un nuovo modo di dipingere quadri, che potremmo definire tridimensionale: su una tavola di sdrucciolato incollava del gesso alabastrino su cui scolpiva le immagini che poi dipingeva con le tempere.
Nel 1952 trasferì la sua attività a Londra dove fondò insieme alla sua terza moglie (da cui ebbe cinque figli) la Chelsea Pottery. Questo laboratorio, così come quello parigino, aveva la particolarità di essere una sorta di club dove si pagava una quota, e chiunque poteva andare per apprendere le tecniche e praticarle. La Chelsea Pottery ebbe particolare successo e ancora oggi c’è in zona un pub che porta quel nome.
Nel 1958 fu convinto da un miliardario a trasferirsi alle Bahamas, dove questo voleva avviare un’industria di ceramica utilizzando la manodopera locale per dare lavoro ai giovani. In questi anni, lontano dalla moglie, David conobbe e si innamorò di Phyllis, una dottoressa poco più che trentenne e di superba bellezza che si trovava lì per lavoro e che divenne la sua quarta ed ultima consorte.
Sempre nel periodo bahamiano avvenne un curioso episodio, che ci lascia ben immaginare che tipo imprevedibile e fuori dagli schemi fosse David: da sempre convinto che nella vita fosse fondamentale sapersi arrangiare e cavarsela, accompagnò due dei figli, che erano andati a trovarlo, su un isolotto deserto e li lasciò lì con una capra. Finì col figlio più grande che si tuffò in mare e giunto a largo riuscì a richiamare l’attenzione di un’imbarcazione della Capitaneria che li riportò a casa.
Dopo una breve parentesi newyorkese, nel ‘62 David e Phyllis si trasferirono a Capri su richiesta dell’ormai anziana madre.
Violet nei suoi anni capresi si era dedicata alla scrittura e alla pittura. Lei e il marito, inoltre, già dopo la prima guerra mondiale, sostenevano attivamente il movimento internazionale World Federalism, i cui membri si facevano chiamare The Federalists e professavano un mondo guidato da un governo globale composto da stati federati e senza più guerre. Concettualmente, questo movimento gettò le basi per la creazione dell’ONU. In seguito, al tempo della guerra in Vietnam, i membri dell’organizzazione cominciarono a stampare persino passaporti, uguali in tutto e per tutto a quelli originali, solo che, diversamente da questi, era riportata la dicitura World citizen “cittadino del mondo”. Quando l’Interpol cominciò a ricercare i leader di questo movimento per arrestarli e stroncare l’iniziativa, alcuni di essi trovarono rifugio temporaneo ad Anacapri nella casa dei suoi genitori!
La madre morì nel ‘67. Nel ‘68 invece nacque il figlio, Fabian.
Quando giunse a Capri, David andò a contrattare con Laetitia Cerio l’affitto di Villa Orlandi dove aveva intenzione di creare il suo Laboratorio artistico caprese. Ma il caso volle che mentre discutevano, li sentì Boris Alperovici, marito di Gracie Fields e proprietario del fondo a valle di Villa Orlandi, il quale attirato dalla pronuncia inglese si interessò all’uomo e dopo averlo conosciuto volle subito presentarlo a Gracie. Ella gli propose di prendere i garage della Canzone del Mare a Marina Piccola e così fu. Tra loro nacque una vera e profonda amicizia.
Il periodo caprese fu a detta di David, il più felice della sua vita. Scendeva al laboratorio tutti i giorni, anche quando non si sentiva bene, e a chi gli faceva notare che lavorava troppo, rispondeva: “non è lavoro, è piacere!”.
Le sue opere riscuotevano grande successo tra i turisti e arrivavano commissioni da tutto il mondo per enormi statue e fontane bronzee (prima modellava la creta a Capri poi le faceva rivestire di bronzo da una fonderia napoletana). Inventò i famosi Capriti e la storia che questi simpatici animaletti, abitanti nella Grotta delle Felci, avessero il potere di consolare e aiutare a prendere decisioni nei momenti difficili.
A tutti gli avventori che entravano nel suo laboratorio David offriva vino e una piacevole chiacchierata. Il suo motto era “bere poco ma spesso”. Adorava i capresi e i capresi adoravano lui. I tassisti in particolare gli offrivano sempre passaggi ed erano ben felici di portargli i clienti per due motivi: il primo era perché così potevano farsi un bel bicchiere di vino. Il secondo era perché chiunque fosse l’autista, David diceva che quello era il migliore e consigliava di farsi portare a fare un bel giro al Faro e alla Grotta Azzurra!
Quando non prendeva passaggi, si muoveva con l’autobus e sedeva sempre sul posto anteriore, affianco all’autista perché voleva ammirare il paesaggio.
Gli unici con cui proprio non andava d’accordo erano i cacciatori! Questa in realtà era una guerra già cominciata dal padre, che durante le sue passeggiate in montagna si dedicava a rompere i “mastrilli” le terribili trappole per gli uccelli poste dai cacciatori. Questi, da parte loro, avevano invece l’abitudine di entrare nei suoi terreni e sparare vicino alla casa. Già anni addietro, in un’occasione furono sterminate tutte le colombe di Violet. Una volta capitò che David sorprese alcuni “sparatori” nel suo terreno e avendoli redarguiti per la violazione di proprietà privata, questi sprezzanti gli risposero “se non ti sta bene, tornatene in Inghilterra“. Allora andò su tutte le furie e rispose: “Mio figlio è nato a Capri e a lui non puoi dire di tornarsene in Inghilterra!”.
Ma insomma alla fine aveva anche tra i capresi tanti amici che andavano a caccia...
Nel ‘74 fece un nuovo esperimento di pedagogia poco montessoriana: durante un periodo di sei mesi, in cui si trovava a Monaco di Baviera per installare delle grosse fontane di bronzo rappresentanti dei cavalli, per l’hotel di un miliardario tedesco conosciuto a Capri, ebbe a trovarsi in un grande magazzino col piccolo Fabian. Gli venne allora l’idea geniale di abbandonare il bimbo, che allora aveva solo 6 anni, nella sezione dedicata ai giocattoli, così da testarne la capacità di ritornare in albergo. Il poverino fu trovato piangente da due nonnine tedesche che subito allertarono la polizia. Fabian si ricordava bene il nome dell’albergo, ma quando lo riportarono dai genitori, il padre ebbe una bella lavata di testa!
Nel ‘76, sentendosi di aver forse vissuto troppo intensamente e di non avere più molto tempo, convinse la moglie a ricominciare a lavorare come medico, procurandole un posto a Los Angeles dopo una chiacchierata di dieci minuti con un cliente passato dalla bottega e mai visto prima! Passò l’inverno con Phyllis a Los Angeles, facendo da solo ritorno a Capri per l’estate.
Nel novembre del ‘77 poco prima di ripartire per gli USA, ebbe un attacco di cuore e morì. I capresi parteciparono massicciamente al suo funerale.
È sepolto nella tomba di famiglia ad Anacapri, riconoscibilissima dalla statua bronzea rappresentante Arethusa.
Phyllis e Fabian si sono stabilizzati a Capri; per quanto riguarda gli altri figli: Caron, il maggiore, dopo tanti anni passati a insegnare in Pakistan, ora si sta occupando di ripulire una serie di antichi templi e acquedotti a Jodhpur in India; Sean è architetto e vive in Francia; Damon ha una fonderia a Londra; Valentino era capitano di veliero e Fionn artigiano a Norfolk. Nella loro diversità hanno tutti ereditato un aspetto paterno.
Nell'Eneide, Virgilio descriveva la “Fama” come un mostro alato, con tantissimi occhi ed orecchie, capace di muoversi molto velocemente, che riportava a tutti, con le proprie infinite bocche e lingue, ciò che aveva visto e sentito. La Fama rappresenta le dicerie che nascono e, fondendosi con la realtà al punto da non riuscire più a distinguerle, si diffondono velocemente ed acquistano credibilità.
Ieri mattina, ripensando alla sera precedente, quando siamo venuti a conoscenza del secondo caso di coronavirus sull'isola, quando i telefoni erano in tilt per gli innumerevoli messaggi ed il post del Comune di Capri era preso d’assalto dai commenti, mi è venuta in mente la nostra professoressa del liceo che ci spiegava la Fama, metafora di voci che corrono incontrollate, si modificano, si amplificano e, in breve tempo, diventano credibili, vere.
Il fenomeno si è ripetuto, in modo identico, sia per il primo caso anacaprese che per il primo caso caprese. I pettegolezzi sulle precedenti settimane trascorse dalla persona contagiata, le ragioni per cui è arrivata sull'isola, gli errori fatti e le precauzioni prese o non prese. Una valanga di informazioni che, da più fonti, circolavano incontrollate, e, ora, non si riesce più a distinguere la verità dalla diceria, che sono diventate un tutt'uno.
Le voci nascono e si diffondono a causa del panico e della mancanza di un’informazione ufficiale. Ed è pur vero che in questa situazione tutti hanno ragione: chi non può dire e chi vuole sapere.
Da un lato, è ovvio che le istituzioni comunali tutelino la privacy del cittadino: non c’è alcun motivo, alcun appiglio normativo per dire pubblicamente chi sia il nuovo contagiato, cosa abbia fatto, con chi sia stato. Anzi, commetterebbe un illecito l’istituzione che desse in pasto alla gente le generalità e i dati sanitari di chicchessia. L’ASL, coadiuvata dalle Forze dell’Ordine e dal Comune, ha il dovere di fare indagini e ripercorrere gli ultimi giorni del contagiato, contattare le persone con cui ha avuto a che fare e sincerarsi del loro stato di salute, tenendole sotto osservazione. Ora, noi che viviamo in un posto piccolo, su un’isola dove tutti conoscono tutti e tutto, pretendiamo di conoscerne le generalità. Ma davvero crediamo che, nelle zone dove i casi sono tanti, ogni giorno esca un bollettino con i nomi dei “colpevoli”??! Non c’è alcuna ragione per violare il diritto alla privacy dei contagiati e metterli alla pubblica gogna. Del resto, mica è colpa loro se sono stati contagiati.
Poi, c’è l’altro lato della medaglia: quello dei cittadini. Di chi sperava che, stando su un’isola, ci si potesse salvare da questa sciagura, di chi ha dei genitori anziani o dei nonni, di chi perde le staffe quando pensa a quanto sarebbe stato facile limitare gli arrivi. Perché la questione è tutta qui. In una metropoli, in una grande città, persino in un piccolo paesino a terraferma bloccare gli accessi è impossibile o quantomeno faticosissimo e, spesso, andrebbe impiegato un personale da fare invidia alla Casa de Papel, ma su un’isola, dotata di un solo e unico porto, con due aliscafi al giorno che arrivano, con tutte le Forze dell’Ordine possibili e immaginabili che attendono chi sbarca, com'è possibile che ci sia un nuovo contagio? E se c’è stato un nuovo contagio, bisogna, allora, evitare che ce ne siano dei nuovi. È umano che ci si senta più al sicuro, conoscendo i posti che la persona contagiata ha frequentato, i negozianti con cui è entrato in contatto.
Il problema è proprio la dicotomia tra diritto alla privacy e diritto ad essere informati al fine di tutelare il diritto alla salute. Probabilmente, è più giusto che le informazioni siano gestite e utilizzate dagli organi competenti ma, allo stesso modo, è umano e comprensibile il panico che sta assalendo la cittadinanza, tra notizie discordanti e poco credibili.
Tra l’altro, questo secondo contagio porta alla luce un problema molto sentito dai cittadini isolani, soprattutto nelle ultime settimane: quello dei “falsi residenti”. La popolazione dell’isola ha paura che possa esserci un arrivo di massa di coloro che, pur avendo la residenza sull'isola, trascorrono a Capri solamente poche settimane all'anno. Ed il fatto che questo secondo contagio riguardi una persona della terraferma - ma residente a Capri - suscita più scalpore rispetto al primo che ha riguardato un ragazzo di Anacapri.
E bisogna porsi delle domande. Il D.L. del 25 marzo ha bloccato gli spostamenti per ritornare al luogo di residenza, ma è davvero così complicato aggirare il divieto? L'autodichiarazione che i cittadini devono esibire alle Forze dell’ordine può riportare unicamente ragioni di comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero motivi di salute. Qual è il reale contenuto del concetto delle ragioni di “assoluta urgenza”? È possibile evitare l’onerosa multa e la denuncia penale con il giusto alibi? Potrà capitare che, nelle imminenti vacanze di Pasqua, qualche residente caprese, che, però, abita principalmente in terraferma, possa sbarcare adducendo un rientro dall'estero? Un guasto in casa? Una qualsiasi ragione di assoluta urgenza? Certo, farebbe una falsa dichiarazione e potrebbe essere denunciato per almeno un paio di reati penali. Ma il controllo sulla veridicità delle autodichiarazioni viene fatto?
Con l’ordinanza emanata prima dal Comune di Anacapri e poi riprodotta da quello di Capri si tenta proprio di arginare questa falla nei controlli. Chi vorrà accedere ai due comuni, sbarcando sull'isola per ragioni di necessità e urgenza, dovrà essere preventivamente autorizzato dalle Amministrazioni. Ottima iniziativa. Speriamo che ci siano controlli seri e serrati, al fine di rendere efficace il blocco che i Comuni tentano di applicare.
Nel frattempo, tra i cittadini regna il caos: voler sapere in che modo si procede ai controlli e come verrà arginato il problema del contagio è frutto del timore di contrarre il virus, e ricevere informazioni esatte e minuziose, di certo, non limiterebbe il contagio ma limiterebbe il dilagare delle paure, contenendo il disordine pubblico.
Tutto questo si scontra, però, con uno dei diritti più tutelati degli ultimi anni: il diritto alla privacy, che mai nessuna istituzione pubblica potrebbe violare. Certo non possiamo noi dirimere questo difficile contrasto tra innegabili diritti, ma sarebbe auspicabile, nei limiti del consentito, che venga fornita un’informazione costante alla popolazione per evitare di creare il caos. Soprattutto è, però, doveroso predisporre un controllo capillare del territorio per evitare sbarchi di persone che non potrebbero accedere all'isola, per evitare, come al solito, di “chiudere la stalla solo quando sono fuggiti i buoi”.
Le ultime due settimane sono passate nel segno del lusso con gli eventi di Bulgari e Ferrari che tanta opulenza hanno mostrato e tante polemiche hanno suscitato. Oltre gli evidenti riscontri economici e di immagine delle due kermesse, mi pare pure eccessivamente snob farne una questione di stile ed inveire contro il fatto che si mangi in piazzetta o magari si ostentino diamanti grossi come noci.
Certo il cafonal a Capri non è mai mancato, a volte è diventato tendenza altre volte è rimasto pacchianeria, ma i due eventi in questione non mi sembrano rientrare precisamente in quel filone. Mi sembra piuttosto che entrambi siano stati una sontuosa celebrazione della bellezza, certo non quella bellezza cui siamo abituati noi senza Ferrari e senza diamanti, ma pur sempre bellezza, spesso inaccessibile.
Tuttavia è di un’altra, più eterea, ma anche più vicina, bellezza che oggi vi voglio parlare. Una bellezza di cui pure noi possiamo godere senza sforzi, senza costi, semplicemente porgendo l’orecchio. Parlo dell’organo a canne della chiesa di Santa Sofia ad Anacapri, che, fino a pochi mesi fa, ha magnificamente assolto al compito di scolpire solennemente nelle anime di un’intera comunità i momenti di gioia, commozione, tristezza. E non mi riferisco solo alle celebrazioni liturgiche che lo strumento ha accompagnato sin dalla sua costruzione nel 1935, penso pure alle sensazioni che il suono prodotto dall'organo è in grado di suscitare in chiunque, avvezzo o no alle cose sacre, si metta semplicemente in ascolto.
E del resto quante volte capita che un suono, magari inaspettato o lontano, ci riporti in altri luoghi e in altri tempi, fuori o dentro di noi. Anche questa funzione catartica l’organo di Santa Sofia ha esercitato nella sua ottuagenaria esistenza.
Per non parlare poi dell’intensa attività concertistica che ha segnato una fase della sua vita e che speriamo possa impreziosirne anche i prossimi anni.
Ma si sa, la vecchiaia è una brutta bestia. Questa banalità è ancor più vera per gli organi: strumenti vivi formati da una miriade di componenti, talvolta tanto delicati quanto curiosi. E così abbiamo non solo una foresta di centinaia e centinaia di canne, visibili e nascoste, di qualsiasi dimensione e di diversi materiali, ma anche naturalmente la consolle, le tastiere, le pedaliere e poi somieri, mantici ed altri apparati dai nomi spesso bizzarri.
Il fatto che la vecchiaia sia una brutta bestia poi lascia pure intendere quale possa essere l’esito finale della vita di un organo: un organo, se non curato ed adeguatamente manutenuto, irreparabilmente si spegne, muore.
Questa sorte è già toccata, anche qui a Capri, ad altri organi, di cui restano le sole facciate ma le cui anime sono, in realtà, banali ed impersonali elettrofoni.
Da un po’ di tempo quindi si è attivata una raccolta fondi per il restauro e potremmo dire il salvataggio dell’organo di Santa Sofia. La generosità di tanti ha permesso che si potessero avviare, pochi giorni or sono, i lavori.
Ma quanto finora raccolto non basta: per ridare piena voce all'organo serve qualche altro piccolo sforzo. Per questo motivo vi segnalo che, volendo, potete fare anche voi la vostra parte con un bonifico bancario indirizzato al conto corrente intestato alla Parrocchia di Santa Sofia ed identificato dall’IBAN
IT50M0306909606100000075674
Non vi si chiede di strafare (oh poi se vi fa piacere esagerate pure, ci mancherebbe), ma ogni piccolo gesto avvicina il raggiungimento del nobile scopo.
Quando si chiedono soldi però bisogna pure garantire che questi verranno spesi bene ed allora è giusto dire che la supervisione tecnica dei lavori è affidata al Maestro Stefano Giordano, profondo conoscitore dello strumento specifico ed indiscusso esperto del settore. La gestione dei fondi è invece operata, oltre che dal parroco Don Carmine Del Gaudio, dagli attentissimi componenti del Comitato affari economici, i Mario Monti dei conti della chiesa insomma.
Quindi, ritornando al punto di partenza: che la bellezza salverà il mondo lo diceva Dostoevskij e pare ormai universalmente riconosciuto. Che certi oggetti di lusso oltre ad essere belli ingrossino pure le tasche a noi Capresi lo sappiamo bene.
Una quota piccolissima dei nostri guadagni potremmo e dovremmo perciò serenamente destinarla alla salvaguardia ed all'accrescimento del nostro capitale di bellezza, alle cose che ci procurano intimi momenti di gioia. La musica che si spande dall'organo di Santa Sofia è una di quelle, vediamo di dare una mano allora.
I taxi di Capri, sono unici e famosissimi in tutto il mondo. Vetture cabriolet, sette posti, coloratissime, con tenda per il sole.
Ci va tutta la famiglia, suoceri compresi. Ma il viaggio più bello è quello che si fa in due, stravaccati sulle poltrone posteriori, col vento che ti rinfresca dall’afa di luglio.
Sono, praticamente, limousine.
L’uomo che li ha resi tali, creando uno stile tutto caprese sopravvissuto fino ad oggi, è stato Giovanni Pisano, tassista-carrozziere, anacaprese, classe 1915.
Questo è stato già scritto in tanti articoli e in tanti libri dedicati alla storia isolana ma nessuno ha mai raccontato, più nel dettaglio, le vicende di quest’uomo straordinario.
A diciassette anni, Giovanni salutò la sua Rosina e partì per il servizio premilitare obbligatorio della leva fascista. A vent’anni ebbe la chiamata alle Armi, divenendo geniere dell’esercito.
Nel gennaio del 1937 si arruolò volontario per la guerra di Spagna e il primo febbraio sbarcò a Cadice prendendo parte alle azioni militari italiane.
Rientrato in Italia, nel Maggio del 1939, fu pluridecorato, ma non fece neanche in tempo ad andare in congedo che già venne richiamato a combattere nella seconda guerra mondiale. Inviato in Libia, si distinse durante i combattimenti ricevendo diverse medaglie al merito e la promozione a caporale, finché non fu ferito gravemente da un’arma da fuoco. Gli dovettero estrarre 18 proiettili e 33 schegge dalle gambe. Fu così imbarcato su un aereo per l’Italia, per ricevere le cure, ma nei pressi della Tunisia, questi fu abbattuto dall’aviazione nemica. Mentre il velivolo precipitava e la morte incombeva, a Giovanni apparve la sua promessa Rosina che gli diceva “buttati”. Si gettò fuori dall’aereo, naufragando nel mare. L’unico superstite. Ritrovato da un’imbarcazione d’assalto tedesca, ricevette le prime cure e venne interrogato. Quando i suoi salvatori seppero che era di Capri: la sorpresa! Guarda caso, essi erano stati proprio da poco di stanza sulla sua isola, giù al faro di Punta Carena.
Lo accompagnarono a Tunisi e finalmente riuscì a tornare in Italia, dove venne curato a Pisa.
Nel 1944 finalmente riuscì a rientrare a Capri, dove lo aspettavano i suoi concittadini festanti e dove lo aspettava soprattutto Rosa, ormai ventinovenne, con cui in tutti questi anni senza vedersi, aveva mantenuto una fitta corrispondenza di lettere d’amore. In quegli anni di guerra, Rosa, saliva per il Passetiello da Capri ad Anacapri per avere notizie dell’amato dalle Poste.
E c’era un motivo se saliva per il Passetiello e non per la strada normale: il padre, Giuseppe De Gregorio, non voleva più che la figlia, ormai così grande, aspettasse quest’uomo da troppo tempo via e che rischiava di non tornare nemmeno vivo.
Ora che Giovanni era tornato ancora provato dalle ferite, il padre di Rosa si incaponì ulteriormente contro questo matrimonio e non volle dare la sua benedizione. Ma i due amanti, dopo 13 anni di attesa, si sposarono ugualmente: lei uscì dalla casa del fratello, Luigi del ristorante la Pigna e l’accompagnò all’altare don Alberto del Bellavista.
Per Giovanni, dopo anni di guerra, cominciava la pace.
Grazie alle competenze acquisite nell’esercito, aprì una carrozzeria ad Anacapri e prese la licenza di tassista.
Affascinato dallo stile delle auto americane, chiese e ottenne dalla Camera di Commercio e dalla Motorizzazione, il permesso di modificare automobili allungandone lo chassis e rendendole adatte al trasporto di ulteriori passeggeri. Modificò così la maggior parte dei taxi capresi. Ma non si limitava ad allungare le auto. Se non erano già cabriolet, le convertiva lui. Realizzava la cappotte. E infine ne modificava gli sportelli e le code. Talvolta ricreava delle maschere anteriori ricche di cromature, che erano uno spettacolo a vedersi.
Ricevette così, dalla Camera di Commercio e Industria, il diploma con medaglia d’oro per la “premiazione del lavoro e del progresso”.
Stabilì una cordiale amicizia col Presidente della Repubblica Giovanni Leone che durante i suoi soggiorni a Capri, amava soffermarsi a guardarlo mentre lavorava in officina.
Invece, Giorgio Almirante gli faceva direttamente visita a casa, così come l’onorevole comunista Maglietta.
Nonostante fosse un sostenitore del Movimento Sociale Italiano, Giovanni Pisano si candidò e divenne assessore ad Anacapri col Sindaco democristiano Tommaso De Tommaso. Finché non avvenne una vicenda ancora piuttosto famosa tra gli anziani anacapresi: quella della costruzione dell’ingresso dell’Europa Palace, per cui, in modo ingiusto, alcuni terreni vennero di fatto espropriati per consentirne la realizzazione.
Pisano protestò vivacemente col Sindaco. Allora pare che questi lo prese e gli disse: “Vedi Giovanni, la politica è come un tavolo ricolmo di bicchieri su cui bisogna muoversi con attenzione per non rompere il bicchiere di nessuno. Io sono l’uomo che se vuole, dà un calcio al tavolo e fa saltare tutto”. “E io sono l’uomo che t’ mann’ affancul”, rispose il nostro uomo, abbandonando la carica di assessore e non volendo mai più perdonare Tommaso De Tommaso, il quale, in seguito, gli inviò vari emissari con la richiesta di riappacificarsi. Alla fine, pur di far pace, gli promise addirittura un permesso per costruire, ma Giovanni Pisano, uomo tutto d’un pezzo, non volle accettarlo, asserendo che non sarebbe stato un buon esempio per i suoi figli. Disse: “je ‘o permess ‘o voglio, ma no pe’ ‘nu piacere”.
Si spense il 30 novembre del 1986, con grande cordoglio di tutti coloro che l’avevano conosciuto.
Alcuni dei taxi creati da lui, anche se non più in servizio, sono ancora circolanti.
Questa storia comincia il 6 agosto 1967. Fu approvata infatti quel giorno di ormai cinquantadue anni fa la cosiddetta legge “ponte”, la 765 del 1967 appunto. Fino a quell'epoca, in qualsiasi parte d’Italia, chi volesse costruire un nuovo immobile o ampliarne uno già esistente non doveva preoccuparsi poi troppo. Bastava in pratica armarsi di attrezzi e materiali e possedere qualche rudimento nell'arte della fravica per fare grosso modo quello che si desiderava.
La legge “ponte” invece introduceva un sistema di autorizzazioni per cui, da quel momento in poi, prima di mettersi al lavoro occorreva procurarsi i necessari permessi e non è che proprio tutto fosse concesso. Tra le tante cose infatti, la legge modificava gli indici di edificabilità preesistenti, per cui la cubatura delle nuove costruzioni dipendeva, a seconda dell’area dove si intendeva edificare, dalla consistenza degli immobili già esistenti o dall'estensione del terreno su cui si costruiva. Fu quella insomma la prima stretta all'attività edilizia.
Tutto sommato però la legge ponte non chiudeva del tutto alla possibilità di farsi una casarella o allargare quella, magari angusta o scomoda, che già si possedeva. D'altro canto, diventava allora più stringente l’esigenza, per i comuni, di dotarsi di strumenti urbanistici (il piano regolatore) che consentissero uno sviluppo ordinato e sostenibile degli insediamenti.
Risale così a quel periodo (1972) l’inizio dei lavori per l’approvazione del piano regolatore di Anacapri. La procedura per l’entrata in vigore del piano era ben complessa e prevedeva, come ultima fase, l’emanazione del piano stesso, formato a livello locale, da parte delle autorità regionali. E dunque il piano regolatore di Anacapri sarebbe entrato effettivamente in vigore solo nel 1984.
Non che in quel lungo lasso di tempo non ne siano poi successe di cose. Dapprima la legge Bucalossi (10/1977) diede una stretta agli indici di edificabilità nei comuni privi di piano regolatore, stretta superata in virtù dell’esistenza di una sorta di normativa regionale sostitutiva dello strumento urbanistico (art. 4 della stessa legge).
Poi, nel 1978-79, con lo stralcio e l’emanazione della parte di piano regolatore relativa all'edilizia residenziale pubblica, contenente l’individuazione delle aree di edificazione e i relativi elaborati plano-volumetrici, si concretizzava la possibilità di costruire nuovi agglomerati residenziali. Fu così assegnata nel 1980 a sei cooperative edilizie la costruzione nelle aree del Pozzo, di Monticelli, della Vignola, della circumvallazione e di Carlo Ferraro. Anche altre aree erano individuate nello stralcio, ma quelle cooperative non si sarebbero poi mai realizzate.
Inoltre nel 1982 una nuova valvola di sfogo fu concessa agli operosi Anacapresi. Approfittando di un temporaneo vuoto normativo rispetto alla possibilità di costruire entro 500 mt. dalla costa, l’amministrazione di Fausto Arcucci varò l’operazione, rimasta nel bene e nel male nella storia, denominata 0.10. Applicando gli indici di edificabilità della legge del 1967 fu infatti consentito ai Ciammurri che avessero terreni fuori dal centro abitato di edificare 1 metro cubo di nuovo fabbricato per ogni 10 metri quadri di terra. Il risultato certo impressionante, anche qui nel bene e nel male, fu la concessione in un sol colpo di circa 300 licenze edilizie.
Qui occorrerebbe aprire una parentesi, perdonerete la facile battuta, grande come una casa. Noi però la concessione per una parentesi così grande non l’abbiamo e quindi ci limitiamo a riportare i dubbi che da quell’epoca sono rimasti in piedi: fu lo 0.10 una soluzione utile alle esigenze della popolazione o aprì solo la strada ad una grande speculazione edilizia? Da quel provvedimento e dal movimento cooperativo partì uno slancio che ha portato Anacapri nella contemporaneità anche dal punto di vista turistico o si trattò di barbari imbruttimenti del paese? Forse, come spesso accade, ognuna di queste antinomie porta in sé qualcosa di vero. Certo, vista la situazione attuale, il processo alla storia sarebbe un esercizio quanto mai estemporaneo, oltre che evidentemente poco utile.
Siamo dunque arrivati al 1984-1985 ed all'entrata in vigore definitiva del piano regolatore. In quel biennio succede però pure un’altra cosa: la legge 47 del 1985 introduce il primo condono edilizio. 31 salva tutti sarebbe il caso di dire.
E pure 32 salva tutti. Il primo governo Berlusconi dura solo sei mesi ma fa in tempo, con la finanziaria 1995, a riaprire i termini del condono 1985. Caro Silvio, le toghe rosse ti avrebbero poi fatto torcere, ma Anacapri ti vuole bene. Sappilo.
Però dopo la festa si paga il conto, ed eccolo: nel 1995 il Ministero dei Beni Ambientali, di cui è emanazione sul territorio la soprintendenza, emana il piano paesistico per l’isola di Capri. Sta qua la mannaia sull'attività edilizia a quanto si dice. Il piano paesistico divide il territorio in tre zone:
P.I. che sta per protezione integrale, dove praticamente nulla si può fare ed addirittura vengono introdotte regolazioni stringenti anche all'uso agricolo del suolo.
P.I.R. che sta per Protezione Integrale con Restauro, dove c’è una tutela appena più leggera rispetto a quella della P.I., ad esempio riguardo all'esistenza di una viabilità carrabile esclusa nella prima zona.
R.U.A. che sta per Restauro Edilizio ed Ambientale. Qui la tutela non è totale come nelle altre due zone, ma siamo pur sempre nell'ambito del restauro senza alcun aumento di volume. Inoltre è concessa la possibilità di destinare spazi ed edifici ad attrezzature pubbliche per migliorare gli standard urbanistici (parcheggi, verde pubblico, scuole etc.)
Insomma, di ampliare o costruire non c’è verso. Da nessuna parte.
Altra grande prerogativa del piano paesistico è quella per cui ad esso non possono derogare neppure i piani regolatori dei due comuni. Sono quindi questi ultimi a doversi adattare per legge al piano paesistico. Quindi, il piano regolatore di Anacapri, elaborato a partire dal 1972, stralciato nel 1979, adottato nel 1984 e superato nel suo decennio di vita dai due condoni, muore nel 1995. Nulla più si muove su quel fronte fino all'adozione del PUC nel 2018. Se volessimo esaminare il PUC poi avremmo bisogno di altri dieci articoli e difficilmente sapremmo discuterne tutti gli aspetti.
Resta più di qualche domanda: se la principale normativa di riferimento è il piano paesistico del 1995, quanto e quale spazio resta per le esigenze abitative degli isolani?
Di fronte al fatto che la popolazione residente è passata dalle 5.324 anime del 1991 alle 7.018 del 2018, ed all'evidenza che da qualche parte ste persone dovranno pur vivere, le istituzioni sovracomunali, adeguatamente sollecitate, sarebbero potute restare l’impassibile presidio di una normativa così restrittiva da risultare controproducente?
Insomma, un’altra strada per venire incontro, nella legalità, alla domanda di case di Capresi ed Anacapresi si sarebbe potuta trovare?
La tendenza alle costruzioni ed agli ampliamenti abusivi si sarebbe potuta bilanciare, ad esempio, con una nuova e maggiore offerta di edilizia residenziale pubblica?
Tante domande che oggi non hanno risposta.
Noi, nelle prossime settimane, cercheremo di capirne di più e proveremo ad approfondire altre questioni che oggi incidono profondamente sul fabbisogno abitativo a livello locale come, ad esempio, l’exploit delle strutture ricettive extraalberghiere in seguito alla legge regionale del 2001 e la lavorazione delle pratiche relative ai condoni 1985 e 1995 che, in buona misura e per diversi motivi, giacciono ancora negli uffici comunali.
Questa storia, se partiamo dal 1967, è durata già troppo. Ma durerà ancora a lungo. Ci vediamo.