Una casa caduta rappresenta il declino nel tempo. Quindi, l’espressione suggerisce che qualcosa o qualcuno sta perdendo la sua vitalità o la sua bellezza originale. Allo stesso tempo indica anche negligenza e abbandono: qualcuno che non si prende cura di sé o delle proprie responsabilità.
E' visibile a tutti come la Chiesa di Santo Stefano e altri immobili ecclesiastici a Capri da tempo assomiglino sempre di più a case cadute, con facciate scrostate e con infiltrazioni che fanno sì che ci piova dentro.
Senza la pretesa di difendere o accusare nessuno, si presume che il nuovo parroco, al momento dell'insediamento, abbia avuto l'incarico anche di preservare il patrimonio immobiliare per quello che rappresenta a livello storico culturale. Così senza sapere i fatti, sembrerebbe una cosa molto probabile e ragionevole.
Ora la polemica degli ultimi giorni contro l'operato della Chiesa mischia situazioni complesse, di cui è giusto che si discuti a livello locale, perché è qui che si possono trovare soluzioni, ma ha anche scatenato una tempesta di accuse e merda a livello nazionale ed internazionale, alternando anticlericalismo attuale e del passato, lasciando un bel po' perplessi chi solo osserva la querelle, sul dove si vuole arrivare e su cosa altro ci sia in ballo.
Alla Chiesa si chiede di bilanciare la carità con la tutela del patrimonio storico; e quelli più infervorati sulla vera missione caritatevole della Chiesa sono proprio coloro i quali, verosimilmente, almeno per orientamento politico, o per storie personali, vorrebbero vederla a pezzi o affondare nel mare.
Ci avviciniamo al periodo dell'anno in cui più pesa per la comunità Caprese la bassa stagionalità: durante il clima natalizio sembrano stridere le vie dello shopping chiuse, le vetrine tristi coperte da adesivi ed i tanti cantieri che iniziano ad aprire.
Quando gli alberghi chiudono per la stagione, si verifica un effetto domino: i ristoranti, i negozi e i bar seguono l’esempio, lasciando l’isola quasi deserta. Per la comunità è sempre una sconfitta, da centro del mondo, l'Isola sembra diventare l'ultimo paesino di montagna spopolato. I gruppi di turisti che vengono in questo periodo in cerca di passeggiate e relax notano comunque tutta questa desolazione e nei periodi peggiori non trovano un bagno per una pipì o dove poter mangiare un boccone cucinato. Il sistema isola fa una pessima figura quindi non solo verso i propri residenti ma anche e soprattutto con le migliaia di turisti che, mare permettendo, vengono a passeggiare a Capri anche durante la bassa stagione.
Per una questione di immagine e di migliore vivibilità, l’isola di Capri dovrebbe cercare di superare il concetto di stagionalità. Tuttavia, è importante fare un discorso intellettualmente onesto e considerare anche i vantaggi delle chiusure stagionali. Questo articolo cerca di esaminare sia le sfide che i vantaggi della bassa stagionalità a Capri, offrendo una panoramica completa della situazione economica dell’isola.
VANTAGGI E SVANTAGGI PER LE ATTIVITA' COMMERCIALI
Riduzione dei costi operativi
Il primo e più ovvio vantaggio è la riduzione dei costi operativi. Durante la bassa stagione, il volume delle vendite può diminuire significativamente. Mantenere aperto un' attività commerciale in questo periodo può comportare costi come le utenze e i salari dei dipendenti, che potrebbero non essere coperti dai ricavi. Chiudendo temporaneamente, le imprese possono risparmiare su questi costi.
Manutenzione e miglioramenti
La chiusura durante la bassa stagione offre anche l’opportunità di effettuare lavori di manutenzione e miglioramenti che potrebbero essere difficili da realizzare durante i periodi di apertura. Questo può includere la ristrutturazione degli interni, l’aggiornamento delle attrezzature o la formazione del personale.
Pianificazione e strategia
Un altro vantaggio è la possibilità di dedicare del tempo alla pianificazione e alla strategia. Durante la bassa stagione, i proprietari di attività commerciali possono prendersi il tempo per analizzare le prestazioni dell’anno precedente, pianificare per l’anno successivo e sviluppare nuove strategie di marketing e vendita.
Salute e benessere dei dipendenti
Infine, la chiusura durante la bassa stagione può contribuire al benessere dei dipendenti. Questo periodo può fornire un’opportunità per i dipendenti di riposarsi e rigenerarsi prima dell’inizio della stagione alta, il che può portare a una maggiore produttività e soddisfazione sul lavoro.
Ma chiudere temporaneamente le attività comporta anche dei svantaggi competitivi che si pagano nel breve e lungo periodo.
Perdita di dipendenti
Specularmente la chiusura può anche avere un impatto negativo sui dipendenti, soprattutto su coloro che hanno necessità di un rapporto lavorativo più stabile e continuativo. Potrebbe essere necessario licenziare il personale durante la chiusura, il che può portare a perdere personale già formato e valido e di conseguenza nuovi costi di assunzione e formazione quando l’attività riapre con annessi problemi e rischi.
Costi di chiusura e riapertura
Ci sono costi associati alla chiusura e alla riapertura di un’attività, come la manutenzione, la pulizia e la pubblicità. Questi costi possono essere significativi e devono essere presi in considerazione.
Perdita di clienti e di occasioni di fidelizzazione
Chiudere durante la bassa stagione può portare alla perdita di clienti. I clienti abituali potrebbero cercare alternative e potrebbero non tornare quando l’attività riapre. Analogamente per l'attività commerciale si riduce la finestra temporale per attirare e farsi apprezzare da nuovi clienti in un momento in cui c'è, fisiologicamente, meno concorrenza.
In conclusione fin quando i vantaggi supereranno i rischi, senza l'introduzione di limitazioni o incentivi, è improbabile che l'isola di Capri superi la forte stagionalità degli ultimi decenni che come abbiamo visto può avere anche dei risvolti positivi. Sicuramente non basta la moral suasion dei Governanti e dei concittadini per convincere le varie attività a non chiudere o fare una rotazione delle chiusure, ma servirebbero: sgravi fiscali, sovvenzioni e promozione del turismo fuori stagione. Ciò significa una volontà collettiva forte di intraprendere ivestimenti abbastanza importanti per cambiare le cose. Ma questa volontà esiste, oppure no?
"A Capri prevale l'egoismo e l'ipocrisia."
"I Capresi hanno la malattia dei soldi. Ognuno cura solo il proprio orticello."
"Non c'è senso di comunità. I Capresi sono disuniti e per questo gli interessi stranieri hanno sempre la meglio."
Chi non ha mai ascoltato queste affermazioni sui social o nei bar e chi ha mai potuto confutarle. Purtroppo sono vere al 99%, come cittadini facciamo abbastanza schifo. Una comunità non si costruisce a tavolino né sui social, ma è un processo lungo di relazioni sociali, di reciproco riconoscimento, di empatia, di amicizia e condivisione di una visione di un futuro insieme. Queste cose dovrebbero essere coltivate fin da bambini attraverso i giochi e le prime esperienze di socializazione. Ci vogliono più luoghi di aggregazione.
Il centro di Capri ha avuto per qualche anno un parchetto dove ciò si poteva fare, poi causa l'incuria e l'azione di qualche vandalo il parchetto è diventato luogo insicuro per portare i bimbi a giocare. Dopo un po' di lungaggine burocratica causata da un cittadino che non voleva il parchetto vicino alla propria proprietà, i lavori di riqualificazione erano partiti e sembravano procedere a grande velocità. Alla fine si trattava di un parchetto non di una cattedrale.
Cambia l'amministrazione e si ferma tutto. Oggi 25/08/2019 su un giornalino locale si legge una sfilza di irregolarità che inficiavano il progetto del parchetto che sono incredibili, nel senso che sono proprio poco credibili. Non ho mai visto un parchetto con i bagni esclusivi dedicati ai bambini e alle mamme, ma oggi si afferma che sono indispensabili anche quelli. La sensazione è che sono prevalsi interessi di pochi e si usi un giornalino per sparare un mucchio di ipotetici problemi nella speranza di azzeccarne almeno uno.
Ha prevalso nuovamente la cura del proprio orticello, questa volta a danno dei più piccoli. Vaffanculo il senso di comunità, vaffanculo i bambini, vaffanculo il futuro di Capri.
Prendo spunto dalle riflessioni di Claudio Boniello (che potete leggere qui https://www.altroparlante.com/altracapri/164-l-anno-che-sta-arrivando-tra-un-anno-passera.html) e da altre interessanti considerazioni apparse in rete per fare qualche proposta in materia di lavoro. Non che mi inventi qualcosa di nuovo, si tratta di misure dettate dal buonsenso, che qui, per non annoiare il lettore, sono solo abbozzate e di cui spesso, anche in passato, si è discusso. Naturalmente tutte le idee che vi vado a raccontare riguardano la fantomatica fase 2, quella, per capirci, in cui potremo, con tutte le precauzioni del caso, uscire in strada.
Lavorare meno, lavorare tutti
Qui è necessaria un’analisi preliminare onesta rispetto al mercato del lavoro che abbiamo conosciuto fino alla stagione turistica 2019. Quel mercato del lavoro concentrato in un periodo di 6-8 mesi, con orari spesso superiori a quelli ordinari e retribuzioni allo stesso modo superiori rispetto a quelle fissate dalla contrattazione collettiva. Quel mercato del lavoro che si fondava, dunque, su uno scambio legittimo tra datori di lavoro e dipendenti: turni lunghi e concentrati in un ridotto lasso di tempo (non senza qualche esasperazione) contro retribuzioni più alte della media nazionale. Bene, per quest’anno dimentichiamoci questo meccanismo.
Potremo adottare tutti gli accorgimenti possibili o impossibili in materia di prevenzione del contagio; potremo sanificare locali e strade pure dieci volte al giorno; potremo inventarci in qualche modo il rispetto delle distanze tra individui, ma la domanda di turismo resterà fiacca. Chi si metterebbe in viaggio subito dopo la fine di una tempesta del genere? Sarebbe possibile aprire ai turisti stranieri, pur sapendo che nel mondo l’epidemia viaggia a velocità differenti e che quindi vi sono paesi che dopo la nostra riapertura saranno ancora nel pieno della battaglia?
Tutto questo si traduce con certezza in un calo della domanda. Al calo della domanda seguirà inevitabilmente un ridimensionamento dell’offerta turistica. Già si sentono in giro voci sinistre riguardo ad importanti realtà imprenditoriali che preferirebbero restare chiuse e saltare un turno.
Ora consideriamo tutti quelli che in un modo o nell'altro risultano alle dipendenze del settore turistico largamente inteso. Se queste persone lavorassero allo stesso ritmo degli scorsi anni basterebbero forse la metà dei dipendenti del 2019 a coprire le ore di lavoro necessarie nel 2020. L’allontanamento dal lavoro di una quota importante dei dipendenti del settore turistico avrebbe conseguenze sociali gravissime. Esso finirebbe per aggravare le già prevedibili difficoltà economiche del sistema Capri. Chi resta senza stipendio non può, evidentemente, spendere i soldi che non ha.
Allora la proposta è questa: lavoriamo meno per far lavorare tutti. Che per il 2020 si torni alle previsioni della contrattazione collettiva: 40 ore di lavoro settimanali distribuite su cinque o sei giorni e come corrispettivo la retribuzione fissata dai contratti nazionali. Senza escludere la possibilità di ricorrere al part time. Lo so è una mazzata. Per molti significherebbe una riduzione significativa della paga. Però qui ne dobbiamo uscire tutti insieme. Agli imprenditori va chiesto, dove possibile, di tenere in massima considerazione il ruolo sociale delle loro aziende, tenendole aperte anche a rischio di guadagnarci ben poco. Allo stesso modo va riscoperta una sorta di solidarietà tra lavoratori: rinunciare a qualcosa perché un po’ tutti possano vivere dignitosamente in questo anno disgraziato.
Tornare ad imparare
Questa è una cosa che avremmo dovuto fare da un bel po’. Ora sembra che ne avremo il tempo. Il mercato pre-covid aveva il pregio di assorbire chiunque avesse voglia o bisogno di mettersi a lavorare. Però era anche causa di una serie di distorsioni. Qui me ne interessa in particolare una: un mercato siffatto ci ha illuso che bastasse trovare un impiego stagionale abbastanza redditizio per essere garantiti a vita. Questa idea non solo risulta errata alla prova del coronavirus, ma lo è sempre stata. I nostri nonni (ma anche i nostri genitori), che avevano certo a che fare con un turismo molto meno sviluppato, non si accontentavano mica di fare i barman o di essere buoni portieri d’albergo. A queste capacità “turistiche” ne affiancavano diverse altre e così si intendevano di pesca, di agricoltura, di manutenzioni e riparazioni varie. Dalla manualità di cui erano dotati sono spesso sorte attività artigianali che hanno fatto la loro fortuna e magari quella dei loro discendenti.
Questo allora è il momento giusto per recuperare. Torniamo ad imparare come si fanno le cose, non solo come si vendono. Il connubio tra tecnologia ed agricoltura apre ovunque scenari inaspettati, mentre noi continuiamo a guardare al settore primario come a qualcosa di esclusivamente folkloristico. I vecchi mestieri si possono esercitare ormai in maniera innovativa ed anche redditizia. Un nuovo approccio alla manualità consentirebbe, sono certo, anche nuovi slanci di creatività. È il momento di organizzare corsi di formazione come non mai. Non lasciamo che il nostro residuo capitale di competenze vada sprecato. Con un serio investimento in formazione possiamo uscire da questo periodaccio più preparati e con un’offerta turistica più variegata ed affascinante, oltre che più sostenibile.
Uscita d’emergenza
Nel peggiore degli scenari possibili (che è pure abbastanza realistico ahimé) l’afflusso turistico di quest’anno sarà decimato. Potrebbe perciò capitare che neppure l’idea di cui al punto 1) basti a garantire lavoro per tutti. A questo punto dovrebbe necessariamente intervenire la mano pubblica.
A dire il vero quest’ultima è già abbastanza attiva nella fase emergenziale che stiamo vivendo, basti pensare ai lodevoli interventi riguardanti l’erogazione di buoni spesa o la distribuzione di generi di prima necessità. Se però le cose continuassero ad andare male dal punto di vista economico occorrerà passare da una logica prettamente assistenziale ad una logica di investimento. In quest’ottica i comuni potrebbero assegnare un sussidio mensile alle persone che intendano impegnarsi, per un certo periodo di tempo e per una quantità anche limitata di ore settimanali, in un’attività di pubblica utilità.
Le cose da fare non mancano, riporto solo qualche esempio: piccole riparazioni e manutenzioni del patrimonio pubblico e della rete viaria; cura del verde pubblico; pulizia delle parti del territorio più periferiche che vengono comprensibilmente trascurate in tempi normali; sanificazione periodica e capillare degli spazi pubblici; assistenza agli anziani che verosimilmente dovranno restare più a lungo in casa; valorizzazione di porzioni spesso poco considerate del nostro patrimonio culturale e naturalistico attraverso turni di guardiania e assistenza ai turisti. Alcune di queste attività potrebbero essere svolte in larga autonomia dai lavoratori, per altre sarebbero invece necessarie la direzione ed il controllo degli uffici competenti. Alla fine della fiera credo che ci troveremmo con un territorio mai così bello ad un costo economicamente sostenibile.
Tra l’altro i privati potrebbero essere coinvolti nel finanziamento di queste attività attraverso la predisposizione di un Fondo Comunale di Solidarietà ad esse dedicato. Già oggi abbiamo apprezzato esempi luminosi di generosità, altri sono sicuro che seguirebbero anche in virtù di un meccanismo di rigorosa verificabilità tra la dotazione del Fondo e le attività svolte. Vedere concretamente realizzati, giorno per giorno, i progetti finanziati potrebbe generare un impulso altruistico molto più forte di quello che si dovrebbe mettere in moto con il normale pagamento delle imposte, i cui proventi ed i cui risultati, finiscono invece, inevitabilmente, per confondersi nell'insieme della fiscalità generale.
Concludo dicendo che naturalmente queste proposte non hanno alcuna pretesa di esclusività; ad esse se ne possono aggiungere altre, magari più funzionali ed efficaci. Quella che resta è la convinzione che in questo momento, e nel prossimo futuro, ognuno debba dare il proprio contributo, soprattutto se si intende approfondire il tentativo di dirigersi verso un modello turistico nuovo e per tanti aspetti diverso da quello cui eravamo abituati.
Prendiamo spunto da uno speciale de Il Sole 24 Ore sui contratti di locazione a canone concordato per illustrare il funzionamento di questa particolare tipologia contrattuale che tanti vantaggi può offrire a locatori e conduttori. Da pochi mesi, infatti, è possibile anche a Capri utilizzare i contratti a canone concordato ed accedere, grazie ad un’interpretazione della legge che spieghiamo di seguito, ai relativi benefici fiscali.
La necessaria premessa è data dalla difficoltà per molte persone, spesso coppie e spesso giovani, di trovare un alloggio dove non solo stabilire la propria residenza, ma dove far anche crescere la propria famiglia. Queste difficoltà si sono intensificate negli ultimi anni poiché sempre più persone trovano più conveniente adibire i propri immobili ad attività simil-ricettive (b&b o case-vacanza) che concederli in locazione. Eppure la casa dove vivere è quanto di più importante ognuno possa avere per impostare un’esistenza serena e possibilmente felice. Allora è evidente che in un luogo dalla forte attrattiva turistica come Capri, dove comprare casa è peraltro troppo spesso un miraggio, bisogna agire sulla convenienza dei contratti di locazione ad uso abitativo e far di nuovo crescere la percentuale di abitazioni riservate ai residenti o a chi a Capri vuole comunque vivere per tutto l’anno. Ma dopo questa approssimativa analisi “sociologica” passiamo alla ciccia.
In condizioni normali c’è praticamente un solo modo per regolarizzare i rapporti di locazione: il famigerato contratto 4+4. Un contratto di quattro anni che alla prima scadenza si rinnova automaticamente (salvo disdetta da comunicarsi all’inquilino con sei mesi di preavviso ed in casi ben definiti) che può scontare, a seconda dei calcoli di convenienza, il regime fiscale normale (cumulo con gli altri redditi del locatore e applicazione progressiva dell’IRPEF) oppure la tassazione mediante cedolare secca (in pratica prendi il canone di locazione annuo e ci applichi un’aliquota fissa del 21%).
A partire dal 1998 però è stata introdotta una seconda forma contrattuale: il contratto a canone concordato 3+2. Tale contratto deve seguire fedelmente lo schema allegato all’apposito Decreto Ministeriale del 16 gennaio 2017, ha una durata di tre anni ed alla prima scadenza si rinnova automaticamente per un altro biennio. Il canone di locazione deve essere necessariamente contenuto tra un livello minimo ed uno massimo stabiliti a livello territoriale, tenendo conto di una serie di variabili, da accordi tra le associazioni dei proprietari di case e quelle degli inquilini. Ma come si tassano i canoni di locazione di questi contratti? Ecco la sorpresa. Se il comune dove è situata l’abitazione rientra tra quelli ad alta tensione abitativa individuati dal Ministero delle Infrastrutture il canone di locazione può essere tassato con un’aliquota fissa del 10% (come sopra, prendi il canone annuo e applica il 10%). In più il locatore che affitta a canone concordato può accedere, per la casa locata, ad uno sconto del 25% sull’IMU e la TASI (le imposte sugli immobili che si pagano in due rate il 16 giugno ed il 16 dicembre).
Ora si dà il caso che il 25 giugno 2018 è stato depositato al Comune di Capri l’accordo territoriale tra proprietari di immobili ed inquilini per l’adozione nel territorio della Città di Capri dei contratti a canone concordato. Resterebbe solo un problema: Capri non rientra tra i comuni ad alta tensione abitativa individuati dal Ministero. Ma qui occorre leggere la legge istitutiva della cedolare al 10% ed interpretarla attentamente.
L’art. 9 della legge 80/2014 recita al comma 2-bis: “La disposizione di cui al comma 1 (la riduzione della cedolare secca al 10%) si applica anche ai contratti di locazione stipulati nei comuni per i quali sia stato deliberato, negli ultimi cinque anni precedenti la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, lo stato di emergenza a seguito del verificarsi degli eventi calamitosi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225.” A questo bisogna aggiungere che con DPCM del 2010 era stato dichiarato lo stato di emergenza in tutta la Regione Campania a causa del maltempo.
Dunque anche a Capri, grazie allo stato di emergenza proclamato nel 2010, è possibile applicare utilmente la cedolare secca al 10% in riferimento ai contratti di locazione a canone concordato. Se consideriamo che in canoni concordati individuati dall’accordo territoriale non sono eccessivamente più bassi rispetto ai canoni di mercato la convenienza per il locatore è evidente e il risparmio del locatore si può ripercuotere positivamente sugli inquilini in due modi:
1. Riduzione del canone di locazione vista la minor incidenza della tassazione.
2. Maggiore redditività della locazione con conseguente incentivo a concedere in locazione gli immobili anziché trasformarli in strutture ricettive.
Naturalmente l’introduzione dei contratti a canone concordato non risolve da un giorno all’altro la questione abitativa caprese e sarebbe opportuno che altre misure di facilitazione delle locazioni e delle compravendite immobiliari (soprattutto in favore delle giovani coppie) fossero intraprese, ma, consentite lo spunto polemico, questa è la strada concreta da seguire e non quella di uno sbandierato quanto inconsistente provvedimento di salvezza per gli abusi edilizi di necessità. Più che gli abusi di necessità (che ci sono beninteso) a Capri conosciamo forse la necessità degli abusi per la politica e la possibilità per tanti capetti di guadagnare qualche voto con questi strumenti, per questo le linee guida della Regione Campania sugli abusi di necessità (poi ancora una volta bocciate dalla Corte Costituzionale) facevano tanto gola a certi amministratori locali o aspiranti tali in un surreale incontro pubblico della scorsa primavera.
P.S. Per i più interessati ecco il link alla convenzione depositata presso il Comune di Capri relativa ai contratti a canone concordato Accordo territoriale Capri.
Appena un anno fa sull'isola azzurra impazzava la campagna elettorale.
Capri e Anacapri, due comuni sulla stessa roccia, vicini geograficamente ma molto distanti concettualmente.
Il comune di Capri è “in”, con le sue boutique e le sue vetrine, il suo “salotto” invidiato da tutto il mondo, la mondanità e la movida, un luogo perfetto per esibire l’ultima moda o per immortalarsi in un selfie da rilanciare su Instagram alla ricerca di visualizzazioni e like; un luogo dove la vita corre di giorno e di notte, che sia al bar in Piazzetta o su un tavolo dell'Anema e Core.
Anacapri è invece il soggetto di un quadro impressionistico, con i suoi colori vivaci,i suoi paesaggi, i tramonti mozzafiato, la tranquillità delle stradine del centro storico, i negozi di artigianato, le passeggiate nella natura a picco sul mare o su in cima alla montagna, un luogo perfetto per allontanarsi dallo stress e dalla frenesia che caratterizza la vita della società odierna; un luogo dove il tempo sembra essersi fermato.
Di quel periodo ricordo bene i vari temi portati avanti dalle diverse liste di candidati nei rispettivi comuni: l’Area Marina Protetta, la necessità di regolare i collegamenti marittimi, il problema dei collegamenti interni, la funicolare per Anacapri si o no?, il rifacimento di Piazzale Europa, la bretella verso Anacapri, gli abusi di necessità, la tutela del mare, i posti barca, la nicchia al cimitero, meno tasse per tutti.
E poi ancora: che turismo vogliamo? Quello di massa che ingorga le strade o quello dei Vip che fanno pubblicità?
Che mare vogliamo? Quello dove ognuno si compra una barca e fa i fatti propri, o un mare pulito, limpido, tranquillo, sicuro per chi ci lavora e per chi è in vacanza?
Da anni ormai la vivibilità dell’isola, dei propri residenti e dei propri turisti, nonché la fauna e la flora stessa venivano spesso messi in secondo piano da un qualcosa di decisamente più importante: il Dio Denaro.
E questo faceva sì che l’isola nei mesi estivi diventasse un luna park, una Disneyland circondata dal mare, una grande vacca piena di latte da spremere ogni giorno fino all'ultima goccia, fino allo stremo.
Un anno dopo siamo qui, rinchiusi nelle nostre case ad aspettare che cosa succederà. C’è chi è senza lavoro, chi senza soldi, chi senza cibo, chi senza voglia. Viviamo in una sensazione di paura verso il prossimo, se poi questo viene dalla terraferma meglio scappare che non si sa mai.
Ecco che l’unica grande certezza su cui si è sempre basato il sistema economico caprese è crollata: la vacca non c’è più.
Niente turisti, niente lavoro, niente soldi, crisi per tutti. Il mercato del lavoro caprese, un mercato a mio parere fragilissimo, gonfiato e senza alcuna forma di garanzia, soprattutto per i lavoratori, ne uscirà distrutto.
E mentre noi siamo chiusi nelle nostre case con le nostre angosce e le nostre paure, fuori dai portoni c’è un “qualcosa” che se la sta ridendo: l’isola di Capri.
E non parlo del “sistema isola”, ma di quella che è la nostra vera casa, quella che fino a ieri è stata oltraggiata in tutti modi da chi ci vive e ci lavora. Ed ecco che il mare è tornato pulitissimo, pescoso come mai; la natura è più ricca e più verde; i profumi, a detta di qualche anziano, sono quelli degli anni del dopoguerra. Gli uccelli cantano e volano, a migliaia, come fossero le uniche creature che rompono il silenzio; già, Il silenzio… uno straordinario silenzio. Sembra quasi che l’uomo si sia improvvisamente estinto lasciando la possibilità a tutti gli altri esseri viventi di riprendere il proprio spazio.
Mentre un anno fa, in occasione delle elezioni amministrative, si facevano proposte su come migliorare l’economia turistica isolana, che oggi si trova in ginocchio a causa dell’ attuale emergenza sanitaria, ecco che ci viene offerta su un piatto d’argento la più grande opportunità degli ultimi 50 anni: quella di creare un nuovo “sistema”.
Le indicazioni che ci vengono fornite per la ripartenza del prossimo futuro tendono tutte verso un unico punto: garantire sicurezza e distanza tra le persone. Questo, nella nostra realtà, significa che sull'isola dovranno necessariamente arrivare meno persone, avremo meno possibilità di mobilità, meno posti a sedere nei ristoranti, minor richiesta di posti letto, meno folla nei lidi balneari, nei bar, tra le strade dei centri storici. Facilmente tutto ciò si traduce in meno introiti per il sistema economico, minor domanda di servizi, minor offerta di lavoro: detta così sembra una catastrofe.
Io invece continuo a vederci un’opportunità: quella di avere il tempo, oggi, di cambiare le cose. Mentre pochi mesi fa ci era concesso di blaterare all'infinito su cosa fosse meglio per l’isola (senza poi in realtà prendere mai una scelta difficile e coraggiosa), la gravità della situazione attuale ci impone nuove dinamiche.
Parlare di turismo sostenibile, di sicurezza, di mobilità; di tutela del mare, della costa, della flora e della fauna; programmare una stagione turistica non più su 6 ma su 9/10 mesi, rendendo Capri una meta ambita anche in periodi di “bassa stagione”; analizzare un mercato del lavoro interno fragile, dove i posti di lavoro più gratificanti economicamente sono quelli in cui spesso non c’è rispetto di un orario, quasi per un tacito “do ut des” tra datore e lavoratore; parlare del problema abitativo, dove la popolazione residente spesso trova difficoltà nel reperimento di un alloggio, molto spesso dando inizio a fenomeni di abuso edilizio; iniziare a regolamentare alcune attività come il noleggio barche o le attività di alloggio extra-alberghiere.
Queste sono solo alcune delle tematiche di cui necessariamente si dovrà discutere; lo si dovrà fare a livello istituzionale, di imprenditoria, di associazioni di categoria.
Il paradosso è che sono gli stessi temi di quasi un anno fa, con una sola differenza: prima potevamo far finta di scegliere, oggi non più. La riorganizzazione dell’attività turistica ed economica rappresenta non solo una necessità ma un obbligo; ne va del futuro di noi tutti. E il modello cui aspirare non è certo quello che ci lasciamo alle spalle.
“Coloro che sono abbastanza folli per cambiare il mondo, di solito lo fanno”.
Un fatto incredibile si è verificato oggi, il Giorno di Ognissanti, 01/11/2023, a Capri, in pieno centro, dove una turista tedesca è stata lasciata sotto la pioggia in stato confusionale, probabilmente con una congestione e senza le forze di alzarsi autonomamente dal muretto su cui si era appoggiata per rimettere. La donna, di lingua tedesca, sulla sessantina, è stata abbandonata dal gruppo di cui faceva parte: la guida volatizzata e irreperibile. Con lei, di tutto il gruppo, era rimasta solo una seconda donna che parlava pochissimo inglese e non sapeva che cosa fare. Fortunatamente le due donne sono state notate da uno dei negozi ancora aperti in zona Quisisana, che ha subito allertato il 118 e prestato soccorso. In meno di venti minuti l'ambulanza è arrivata trovando la donna bagnata fradicia e tremante, seduta sul muretto con gli occhi persi nel vuoto. Non senza qualche difficoltà, dovute sia alle condizioni fisiche della turista sia alla reciproca comprensione, gli operatori sono riusciti a far sedere la signora sull'ambulanza (non stesa per evitare che vomitasse ancora).
Un malore in viaggio può capitare, certo, assurdo se non criminale, invece, il comportamento del capo gruppo non le ha prestato alcun soccorso lavandosene le mani. Comportamento che dovrebbe costare il tesserino di guida autorizzata, ma chissà se un personaggio del genere sia veramente autorizzato o se si sia volatizzato anche per non avere problemi con una professione svolta abusivamente. Il dubbio è forte, la cosa certa è che se tutti i negozi avessero già chiuso per fine stagione, situazione che si può trovare già un pochino più avanti in Via Camerelle con le vetrine già incartate, la signora tedesca probabilmente starebbe ancora su quel muretto sotto la pioggia cercando aria.