10.03.2021
Caro diario, oggi mi sento un po’ come quando l’anno vecchio sta finendo...
Sai? quando ci si volta a guardare l’anno che è passato e si tirano le somme. Oggi è trascorso un anno dal primo giorno di lockdown della nostra vita. Lockdown… una parola che ci sembrava tanto strana un anno fa, mentre oggi fa parte del nostro lessico quotidiano.
Non saprei neanche da dove partire, non è facile mettere insieme i pensieri. È stata lunga, è stato strano, è stato improvviso. La nostra vita scorreva come al solito, veloce, tra scadenze e cose da fare, regolare e sicura come sempre; ma poi, tutto ad un tratto, accadde l’impensabile: una pandemia, nel 2020. E chi se lo aspettava! E così ogni certezza non c’era più, ogni affetto era lontano, ogni settore dello Stato – assopito da tempo – era diventato protagonista, dalla sanità all’economia.
Siamo stati testimoni di un accadimento storico: nel 2020 il mondo è stato messo in ginocchio da un virus letale.
Appena ci fu l’annuncio della pandemia, un anno fa, ci dissero una cosa che non ci saremmo mai aspettati: il mondo doveva fermarsi. E così, improvvisamente, da uomini liberi del nuovo millennio, siamo stati protagonisti di una sorta di Decamerone, chiusi dentro, con un nemico invisibile fuori le mura. Per la prima volta nella nostra vita non c’erano più incontri, scadenze, fretta. Non si doveva andare da nessuna parte. #iorestoacasa era il motto di tutti. E così, il lavoro è stato sostituito dal tempo libero, gli abiti da lavoro si sono trasformati in tute e pigiami, le palestre rimpiazzate dagli allenamenti in casa, gli aperitivi con gli amici da rimpatriate su Skype, il sabato sera dalla pizza fatta in casa, la scuola dalla DAD.
In quarantena, quasi tutti, avevamo picchi d’umore che neanche in gravidanza. Gioivi per la pizza che stava lievitando, vivevi di angoscia per quasi tutta la giornata, ti commuovevi davanti alla pubblicità della Barilla che parlava di un “Italia che ancora una volta resiste” e ti arrabbiavi guardando dalla finestra un bellissimo cielo primaverile, che ti “sfotteva” mentre eri chiuso in casa. E la settimana era scandita dalle apparizioni in TV del Presidente Conte che, ogni santa volta, aggiungeva una nuova limitazione alla nostra quotidianità.
Caro diario, ti dicevo, la vita è cambiata. È cambiata per ogni famiglia, per ogni categoria di lavoratore, per ogni persona, di qualsiasi età. Addirittura a Napoli, la città del calore umano per eccellenza, in strada si registrava una diffidenza verso l’altro (quale probabile portatore di virus letale) che manco nell’estremo Nord. Ed era strano: la gente si spostava quando le passavi accanto e ti guardava davvero male se osavi tossire. E ancora oggi, ad un anno dall’inizio di tutto questo, non ci si abbraccia più, non ci si presenta più con la mano e al posto dei due baci di commiato ci si saluta con un pugno chiuso, stile rapper.
E gli occhi, quanti occhi che si vedono in giro. Quegli occhi che fino ad un mese prima della pandemia erano una mera componente del viso, sono diventati la cosa più bella di una persona, quella che guardi e che ti trasmette le emozioni. Non più sorrisi, non più espressioni facciali, solo occhi: grandi, a mandorla, tristi, cordiali, curiosi. Si vedono in giro occhi di anziani soli, di genitori in apprensione, di bambini spiazzati, di padri di famiglia in difficoltà, di negozianti che fanno il possibile per andare avanti. Gli occhi sono, oggi, il nostro veicolo di trasmissione dei pensieri: nascosti dalla mascherina si fa un cenno con gli occhi, e tanto basta.
Ah e poi, eravamo diventati tutti più buoni e non si davano più gli affetti per scontato. Fino ad un anno fa, vedersi con altre persone, che fossero amici, familiari, compagni di vita, era normale e invece abbiamo scoperto che scontato non è. E forse ci ha fatto bene.
C’è stato un tempo in cui pure il tuo vicino di merda, sai quello che butta sempre l’umido nei giorni sbagliati o quello che fa pisciare il cane davanti alla tua porta, proprio lui - anzi persino lui - era diventato un punto di riferimento nella tua vita da “recluso”. Nella prima quarantena, infatti, sembrava che l’Italia intera abitasse insieme: erano tutti amici, tutti fratelli uniti dalla stessa sventura. Pensa che c’era un ragazzo di nemmeno vent’anni che ha riempito il silenzio di una Piazza Navona deserta con la musica di Morricone. E noi eravamo in casa ad ascoltarlo, come se potessimo essere lì, con lui, a dimenticarci dei nostri problemi. Per sentirci vicini ci si dava appuntamento ad un determinato orario, per cantare insieme dai balconi. Eravamo tutti una grande famiglia; pensa che in un paesino della Baviera, Bamberg, per mostrare solidarietà all’Italia, hanno cantato e suonato Bella Ciao. “Per unirci al vostro coro e cantare la canzone di libertà per eccellenza”, dissero. E lo fecero, dai balconi, dalle finestre, sui tetti. Era bellissimo, ma bellissimo veramente.
E si dicevano cose carine, si facevano gesti nobili, ci si sosteneva l’un l'altro, come mai in trent’anni avevo visto.
Sembrava un mondo nuovo, portatore di un approccio diverso verso l’altro.
E la natura. Diario, non sai che schiaffo in faccia ci ha dato la natura. Nei mesi in cui eravamo in lockdown, addirittura il fiume Sarno era limpido. La natura stava dando un segnale forte: si era riappropriata dei propri spazi. E sul web circolavano video di animali che vagavano rilassati per paesini, delfini nei porti, specie in via di estinzione che uscivano allo scoperto, senza aver paura dell’uomo. Una bellezza inenarrabile. E ce ne siamo accorti tutti.
Così, a maggio, credevamo che, dopo questa presa di coscienza, le cose sarebbero cambiate, avremmo rispettato di più la natura, avremmo cambiato atteggiamento verso l’ambiente. E invece?
Invece la paura fa 90 e, quando si è attenuata, tutto è ripreso come prima. Da giugno il Sarno era di nuovo marrone, l’inquinamento era tornato e gli animali erano andati via.
Dopo il primo lockdown anche la gente ha iniziato ad essere stufa: delle rassicurazioni, di non avere più interazioni sociali, di un governo che interviene sempre ad hoc e mai secondo una visione di insieme, di chiudere la propria attività senza avere un valido ristoro. Oggi siamo tutti arrabbiati, con la pandemia, con De Luca, con i banchi con le rotelle, con lo Stato, con Conte, con i vaccini, con l’Asl … E tutti abbiamo bisogno di urlarlo o, più semplicemente, di scriverlo in commenti Facebook; il che magari non risolve ma aiuta. Siamo arrabbiati perché qualcuno deve ridarci quello che abbiamo perso in questo anno: sicurezze, prima di tutto, ma anche soldi. Gran parte dei cittadini si sono trovati ad una soglia di povertà che solo nel dopoguerra. E, giustamente, lo vogliono dallo Stato… che i soldi non ce li aveva prima, non ce li ha neanche adesso. Vogliamo che lo Stato risolva tutti i problemi che ha portato questo nuovo virus e che lo faccia subito. E lo colpevolizziamo, quasi come se ci avesse costretto alla pandemia. Così la paura di un tempo ha lasciato il passo al malcontento, perché dopo un anno la situazione non è cambiata molto e la colpa deve essere per forza di chi è ai piani alti e gestisce la crisi: quel qualcuno non è mai capace di fare la cosa giusta.
Ah si, perché altra cosa che non sai, caro diario, è che qui siamo diventati tutti “masti”. Abbiamo grandi saperi su come va amministrato uno stato durante una pandemia. Quotidianamente parliamo di cose che, fino ad un anno fa, non sapevamo esistessero. Abbiamo conoscenze politiche, economiche, mediche e sanitarie; abbiamo idee su come riaprire in sicurezza le scuole, le palestre e le discoteche. E cerchiamo di dirlo a Facebook eh, ma nessuno ci ascolta. Abbiamo anche teorie sull’efficacia dei vaccini, alcuni dicono che ti impiantano nel cervello il 5G. Capisci a che punto stiamo arrivando? Quanto siamo provati? Qua ci chiudono, ci aprono, cambiano il nostro colore. E noi ci arrabbiamo, sempre di più. Della natura non ce ne frega più niente, il prossimo è solo un potenziale portatore di virus, il tuo vicino di casa resta il solito rompicoglioni che non chiude mai il portone di ingresso e di soldi non ce ne sono più. Forse, caro diario, le somme che sto tirando non danno un bilancio troppo positivo. Siamo tornati gli stessi di 13 mesi fa, solo più stanchi, più depressi, più poveri, più egoisti e più arrabbiati.
E niente, da questa disamina pare che in questo difficile anno non abbiamo imparato nulla, io invece una decina di cose le ho imparate, e sono queste:
Ieri volevo comprare in farmacia delle nuove mascherine che mi son quasi finite.
“Non ne abbiamo, dovevano arrivare ma sono state requisite”; tuttavia i farmacisti mi mostrano il metodo adottato da essi stessi per ovviare a questa mancanza, metodo che chissà come mai, forse colpa della mascherina che mi toglieva ossigeno al cervello, non avevo notato da me... i farmacisti indossavano dei pannolini in faccia. Pannolini in fibra naturale, perfettamente aderenti tanto al culo di un bambino quanto alla faccia di un adulto. Muniti di una linea gialla, che si colora di verde man mano che la condensa del respiro fa aumentare anche il livello batterico della protezione e giunge quindi il momento di cambiarsi... €6.80 per 36 pannolini è anche un prezzo più conveniente delle mascherine. Forse poco cool o magari proprio poco dignitoso, ma insomma, è bene far di necessità virtù, soprattutto di questi tempi... E così, sia io, che il signore dopo di me ci siamo presto convinti all'acquisto.
Quando sono tornato a casa, prima che riuscissi a spiegarmi bene, la mia compagna stava lì lì per mandarmi a fanculo:“questi me li dovrei mettere io?”. Beh si, in effetti la mia idea era quella di concedere a lei i pannolini belli freschi e arrangiarmi io con le poche mascherine rimaste. Che gentiluomo.
“Non l’immaginavo così l’apocalisse” è stato il commento, con cui un mio amico ha sentenziato la vicenda quando sulla chat di gruppo ci siamo resi conto che anche diversi parenti dei miei amici erano ricorsi allo stesso acquisto di fortuna. E in effetti immaginatevi la scena tra qualche giorno, quando tra ffp3, ffp2 e mascherine chirurgiche, potrebbero fare la loro apparizione, tra chi fa la spesa, lavora nei negozi o nei cantieri, decine di persone con un pannolino in faccia, e la scritta “first smile”. Immaginate vostro nonno, o che so la vostra prof del liceo!
Erano tante le cose che non immaginavamo. Innanzitutto non immaginavamo la comparsa di una simile morbo. A gennaio stavamo con il timore fondato di una guerra tra Iran e Stati Uniti, o di un conflitto nel mediterraneo con la Turchia che continuava e continua nelle sue politiche aggressive. Tra gennaio e febbraio osservavamo basiti quello che accadeva in Cina, e con lo spirito di chi è a distanza da tutto ciò, ci dicevamo “immaginati se accadesse qui una cosa del genere...”. Ed è poi accaduta veramente, in Italia ed ora anche nel resto del mondo.
E la cosa meravigliosa da osservare, roba da far masturbare antropologi e sociologi, sono le reazioni dei diversi popoli.
Ovunque vi sono stati assalti ai super mercati, in Italia, in verità solo in pochi posti e in maniera sorprendentemente più civile. Ma se in Italia è subito finita la pasta e si è creata poi una meravigliosa polemica sulla penna liscia, in Germania Francia, Nuova Zelanda e Australia è subito finita la carta igienica. Chi ten ‘o bidè è ricco e nun ‘o sape.
In Olanda sono stati presi d’assalto i coffe-shop, che la cannetta ci sta, mentre negli USA, per motivi tuttora inspiegabili, la gente è corsa a comprare munizioni.
Gli italiani del nord sono scappati in un primo momento in montagna, che lo sport fa bene. I giovani del sud sono corsi tutti giù da mamma, che altrimenti salivano le mamme su.
Certo non ci sta la disciplina cinese, ma in fondo non sembra esserci stata in tutto il libero Occidente.
Boris Johnson travestito da pastore sotto Pasqua, voleva creare l’immunità di gregge trasformando l’Inghilterra in un macello. Fortunatamente pare abbia corretto il tiro. Bolsonaro si è beccato il coronavirus e tutti fanno il tifo che vinca il migliore. Macron si è confermato re delle figure di merda, candidandosi ad essere il probabile futuro ghigliottinato. Conte, invece, è divenuto l’uomo nuovo d’Italia, nonché l’indiscusso sex-symbol del momento. De Luca, dal canto suo, è il nuovo Batman, non l’eroe che meritiamo (non lo meriterebbe nessuno!), ma quello di cui abbiamo bisogno.
A Capri si sono tutti riarmati di zappa. Prima della quarantena obbligatoria anche la pesca aveva avuto il suo momento di ritorno in auge, poi la paura dei controlli l’ha frenata, anche se in effetti si direbbe più pericoloso andare a fare la spesa che uscire in mezzo al mare. Qualcuno sta ragionando seriamente sull'acquisto di galline, maiali e addirittura vacche! Altri non avendo un giardino per sbariare, si sono dati al fai-da-te compulsivo.
È strano, perché certamente è grande anche qui la preoccupazione per la situazione economica, per il destino delle proprie attività. Ma un po’ ci affascina pure l’idea di un’estate diversa, un’estate simile a quelle che erano usuali per i nostri nonni.
Credo sia pacifico affermare che la vera preoccupazione non siano i soldi, e questo lo si capisce anche dalle scelte dei nostri governanti. L’unica vera preoccupazione è quella per la salute nostra è quella dei nostri cari. Il magone non ce lo fa venire l'aggiornamento sul nuovo calo della borsa di Milano. Quello si appara. Il magone ti viene quando vedi alla TV le bare in fila di Bergamo e quando scendi a buttare la monnezza la sera e ti chiedi in che mondo vivranno i nostri figli. Però c'è di buono che sembrerebbe che quando gli uomini sono in difficoltà, si comportano meno come virus e più come umani.
A riveder le stelle!
Prendo spunto soprattutto da quanto recentemente scritto da Antonio sulla vicenda della funicolare per esternare alcune riflessioni sul tema.
Sono stato nel 2018 il relatore al Consiglio Comunale di Capri dello studio sulla Funicolare, quindi la mia opinione sul tema è nota ed inequivocabile.
Antonio da persona di ottima intelligenza quale è, seppur con l’ironia che contraddistingue il vostro blog, ha espresso delle opinioni importanti ed apprezzabili. Cioè ha detto no alla Funicolare immaginando una prospettiva diversa. Non ha detto no alla Funicolare per fare un dispetto a qualcuno, ma perché crede in un’idea di sviluppo del paese diversa, dove l’utilizzo della tecnologia applicata ai trasporti sembra più un errore strategico per Capri che la sua ancora di salvezza e dove invece il jolly per risolvere tutto o quasi è una sorta di decrescita.
Garantisco che il no alla Funicolare è stato portato in Consiglio senza alcuna argomentazione simile, senza una possibile prospettiva da scegliere e seguire.
Allora io, purtroppo non molto sinteticamente, la penso così: innanzitutto ogni soluzione infrastrutturale ha il suo costo in termini economici e paesaggistici e in termini di “sacrifici di cantiere” diciamo così.
- Quindi dire di no alla Funicolare per affacciarsi a qualche diversa, ipotetica e prospettica infrastruttura di collegamento Marina Grande - Capri - Anacapri mi sembra il discorso di chi vuole buttare la palla in tribuna. Ogni altra soluzione di questo tenore prevede degli impegni e assicura delle esternalità.
- Sono favorevolissimo alla rifunzionalizzazione di Piazzale Europa. Se oggi si parla di quel progetto è perché ci abbiamo lavorato noi, che se aspettavamo qualcun altro ci volevano altri cento anni.
Ci siamo immaginati, prendendo atto dei problemi più evidenti e complessi sulla viabilità a Capri, un'infrastruttura che non solo assicura un parcheggio multipiano, ma che ci consente la creazione di una bretella per trasformare il tratto Veruotto - Due Golfi in un senso unico. Un bellissimo progetto, fatto benissimo in questa fase preliminare dai tecnici che ci hanno lavorato. Tecnici in gambissima nonché persone squisite.
Opinione da chi ha fatto della mobilità in generale una delle sue più grandi passioni e di chi si è scervellato per il problema sull'isola di Capri: questa opera va fatta a prescindere, qualsiasi cosa si decida sul resto. Si poteva portare avanti la progettazione senza toccare niente sulla Funicolare così non si faceva questa guerra inutile che avrà ripercussioni su temi più attuali ed urgenti.
Però penso pure che da sola l’opera di piazzale Europa non basti, dobbiamo prendere decisioni capaci anche di incidere sul futuro più lontano e ragionare e investire solo sulla gomma per me non è logico. I sistemi integrati ed alternativi fanno bene alla mobilità perché sono più rapidi ed inquinano molto meno, e sono da prendere in considerazione soprattutto in un paese che, vista la morfologia delle sue strade ( pendenze, strettoie che costringono a fermarsi di continuo ecc.), ad oggi non può contare ancora sul reale apporto della mobilità elettrica.
- Lasciare il mondo come sta è il vero obiettivo di alcuni. Lasciare il mondo come sta rende invivibile il territorio, le emissioni di sostanze inquinanti dovute al traffico hanno un deleterio impatto ambientale, non decidere niente ci farà schiantare prima o poi. Ripeto, è il vero obiettivo di alcuni.
- La decrescita, la razionalizzazione degli sbarchi. Io dico sempre che la “chiave dell’acqua” sta nella migliore distribuzione nello spazio e nel tempo. Nel tempo, attraverso tempi di arrivo al porto più distanziati e attraverso una mobilità interna più veloce e meno imbottigliata, e nello spazio, poiché se puntiamo a tenere tutta la gente sempre nelle solite 3 strade lasciando vuote le altre ( e non parlo solo di Anacapri ma anche di tante zone del centro di Capri) non risolveremo mai il problema, mentre una delle regole principali per arrivare alla “decongestione “ è proprio diversificare le mete dei flussi.
Ora la razionalizzazione degli sbarchi può essere di due tipi : light e pesante.
Quella light, su cui non ci si deve mai stancare di combattere, consiste nel migliorare un pochino gli orari, evitare che tutti arrivino insieme, distanziarli almeno di quei dieci minuti per farci respirare un attimo. Questa soluzione qua non dovrebbe comportare una diminuzione degli arrivi, è legittimamente ottenibile e migliora le cose di un pizzico perché risponde parzialmente all'esigenza della migliore distribuzione nel tempo ma non risponde per niente al fattore spazio. E poi basta un nonnulla come un ritardo, un mare più agitato, e il gioco si blocca perché non rispettando di un secondo l’orario previsto già i suoi benefici scompaiono.
Allora c’è la versione pesante, quella dove la razionalizzazione significa uno sbarco ogni minimo 20 minuti . Questo significa la diminuzione degli arrivi giornalieri, in parole più crude : il numero chiuso.
Questa soluzione che così a parlare sembra la più facile, romantica ed efficace in realtà pare essere davvero difficile. Valutiamola da un punto di vista legale : è possibile prevedere il numero chiuso, non per un museo, non per una piazza, non per un quartiere ma per un’intera isola? Nell'epoca in cui la libera circolazione delle persone è giustamente un must ? E poi ci sono gli interessi connessi delle compagnie che ti faranno una battaglia legale senza quartiere e sarà difficile spuntarla.
Ci sono poi i problemi tecnici di questa soluzione : come facciamo a stabilire quale è il numero dopo il quale dobbiamo chiudere il cancello ? Ci vuole uno studio chiaramente, che poi forse non ci vuole uno scienziato troppo in gamba per farlo poiché basta calcolare la capacità di trasporto della funicolare in un dato tempo e di tutti gli altri mezzi pubblici su gomma facendo in modo che non ne partano troppi insieme sennò il traffico veicolare si ferma. Il risultato sarà probabilmente che per non surriscaldare questo meccanismo non ci vorrà una diminuzione di poche centinaia di persone al giorno ma parleremo di numeri più consistenti. Questa cosa ha un sicuro impatto economico che significa per alcune zone riuscire a sopravvivere diversificando un poco le proprie attività ( perché una Marina Grande meno caotica è addirittura una Marina Grande più efficiente commercialmente secondo me), mentre altre zone (Anacapri in primis ma anche molte di Capri) farebbero i conti con uno scenario davvero diverso con una sicura esternalità negativa sulla loro economia.
E poi c’è un altro problema tecnico : in un sistema organizzativo ed operativo in cui i tour operators controllano tutto e le compagnie fanno parte di quel sistema, come fai a garantire, in una situazione in cui i mezzi per Capri si sono quasi dimezzati, l’arrivo a Capri di residenti e ospiti stanziali? Verosimilmente accadrebbe che i mezzi sarebbero già presi d’assalto dai gruppi e agli altri toccherebbe aspettare ore ed ore prima di imbarcarsi. Difficile porre dei correttivi in tal senso, perché oramai obbligare una compagnia è cosa difficile visto che non esistono più i contratti di servizio e considerando che se sei riuscito a fare il numero chiuso vuol dire che hai vinto una sanguinosa battaglia legale contro di loro.
Insomma a mio avviso anche questo meccanismo che permette di non cambiare il paese ma solo le regola ha delle difficoltà di applicazione importanti.
E poi c’è l’aspetto politico, secondo te al governo di Capri c’è oggi qualcuno che intende fare scelte impopolari? Secondo te c’è tra loro qualcuno che vuole il numero chiuso come alternativa alla Funicolare o che davvero vuole pedonalizzare Via Roma col rischio di doversi scontrare ad esempio con gli utenti del servizio pubblico, la categoria taxi ed i negozianti del centro di Capri perché rafforzando via Roma come via dello shopping potenzialmente si indeboliscono altre strade ? Niente di tutto ciò, si è parlato di Piazzale Europa solo perché era il veicolo, la scusa per bocciare la funicolare. E non tanto per bocciare la funicolare che tanto era comunque un discorso lontano a venire. Si è fatta quella delibera perché qualcuno prova godimento fisico nel vedere Marino isolato e in difficoltà, perché punta a minarne la leadership all'interno del gruppo e in più ha interesse a far saltare il banco con Anacapri quando pullulano gli argomenti delicati ed immediati : area marina protetta con delle scadenze imminenti e emergenza casa più di tutti gli altri (oltre la sanità si intende).
Questo è il livello.
Allora i meriti di tutte ste questioni interessano noi, interessano l’amministrazione di Anacapri, ma per il resto sembrano solo le consuete iacovelle della politica caprese altro che futuro e progetti.
E poi se si vuole iniziare davvero ad incidere da qua a trent'anni dobbiamo smetterla di fare i quartieristi : il momento del sindaco unico è già questo perché il territorio è unico e deve crescere uniformemente, e perché solo così, ossia alzando l’asticella, mandi in pensione la politica delle “ fritture di pesce” e dai vita ad una stagione di riflessioni genuine, serene ed efficaci.
Sono stato lunghissimo e me ne scuso. Grazie Altroparlante perché mi hai stimolato sulla questione e ho provato a sintetizzare, non riuscendoci, alcuni spunti di riflessione.
E' stato pubblicato in questi giorni la prima edizione di "Impara le tabelline e le moltiplicazioni con Math Kong" dell'altro-parlante Alessandro Vinaccia, un piccolo libro didattico coloratissimo rivolto ai bambini in età scolare che mostra loro un metodo non convenzionale per fare le moltiplicazioni. Attraverso la narrazione di Mattia, una simpatica scimmietta con il piglio della matematica, si insegna un metodo grafico per affrontare lo studio delle tabelline prima e delle moltiplicazioni poi. La potenza del metodo risiede nel rappresentare visivamente un'operazione di moltiplicazione e fornisce uno strumento utile per la vita che permetterà di svolgere qualsiasi moltiplicazione agevolmente ed in breve tempo.
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Ha ragione quel mio amico che ogni tanto mi ricorda quanto sono refrattario alle novità e forse al progresso. Eppure io mi sento discretamente “liberal” come direbbero in America. Però ad analizzare bene i fatti è vero: sono un terribile conservatore.
Mi piace viaggiare nei paesi del cosiddetto terzo mondo, perché nelle situazioni più estranee al mondo contemporaneo mi pare di vedere tutta la potenza e la semplice complessità della vita vera. Mi piace mettere la camicia pure quando non c’entra un cazzo, perché mi sembra che dia il senso di quello che siamo. Mi piace il tè, perché ci sento profumi e sapori antichi. Mi piace pure il vino, ma quello per fortuna va bene per tutte le epoche. Mi piacciono le storie dei vecchi, quelle semplici. E mi piacciono i giornali. Dio, quanto mi piacciono i giornali. Ne avrò comprati migliaia e di questo voglio parlarvi.
Sono anni che la carta stampata è in crisi. Da quando i mezzi di informazione si sono moltiplicati, sono rimasti proprio pochi quelli che si servono ancora dei quotidiani per tenersi aggiornati. Si potrebbe dire che uno il giornale mica lo legge solo per informarsi, ma pure per farsi un’opinione. Ma anche le analisi più acute oggi le potresti trovare facilmente online, magari pagando l’edizione digitale del tuo giornale preferito. Tutte le mattine sul tuo pad, prima ancora che ti svegli. Aggiungiamoci poi che la voglia di farsi un’opinione è in crisi almeno quanto la carta stampata.
E pensate che potenza il web se permette pure a quattro o cinque stronzi come noi di farsi leggere. Mica noi lo avremmo potuto o voluto fare un giornale. A parte che per come siamo produttivi sarebbe stato un biennale, ma poi come diceva Bennato “non potrei mai far carriera nel giornale della sera, perché finirei in galera”.
Insomma, pure se sto divagando e divagherò di più, quello che intendo dire è che i giornali cartacei non c’è proprio nessuno che potrà salvarli. Ci saranno tante altre domeniche in cui bestemmierò perché non trovo un cazzo di giornalaio aperto ad Anacapri, ma poi mi abituerò pure io. Come persino i più retrogradi prima di me si sono abituati alla scomparsa delle cucine a legna, dei francobolli, delle cabine telefoniche, della Lira. La Messa in latino. Cioè voi capite? Generazioni di Cristiani abituati ad andare in chiesa per vivere un rito incomprensibile, ma che dalla sua incomprensibilità generava la sua sacralità. E da un giorno all'altro la Messa in italiano. Sarà stato uno shock, ma non si può certo dire che sia stato un male. Almeno se uno va in chiesa capisce di che si parla.
Sui giornali invece tante volte, ancora oggi, di che si parla non si capisce. Si allude, si lascia intendere, si minaccia velatamente, si fanno nomi a caso o anche solo identikit. Insomma, a me i giornalisti stanno generalmente simpatici, ma sospetto che siano un buon numero quelli che trincerandosi dietro la libertà di stampa, ne approfittano per fare marchette ad amici e parenti o per perseguire, in maniera non proprio elegante, qualche loro interesse. E volesse il cielo che molti di questi scrivessero in latino, basterebbe il Castiglioni - Mariotti per capirne qualcosa in più. Invece tanti si esprimono in un italiano più ostico della lingua di Seneca e Cicerone.
Però, c’è un però. Ed è l’appiattimento cui tutti siamo soggetti quando sullo scaffale delle idee troviamo un solo prodotto infiocchettato e iperpubblicizzato. Quando la diffusione del pensiero diventa un puro esercizio di marketing. Perché a guardar bene nel fantastico mondo di internet questo succede: non siamo più noi ad andarci a prendere il prodotto che più ci piace dopo averne magari valutati diversi, ma sono le informazioni che vengono a prendere noi. E quelle che ci riescono sono spesso, semplicemente, le più reclamizzate e le più pompate di sponsor e artifici vari. Poi quegli scritti che hanno avuto la fortuna di finire sotto i nostri occhi li prendiamo e li compulsiamo svogliatamente, con isterici movimenti di dita che significano fretta e nessuna volontà di capire a fondo la questione.
Quindi, sebbene i giornali cartacei ed i giornalai sembrino destinati a fare la fine delle guardie regie; sebbene su certi giornalisti ci sia tanto da ridire; sebbene ci si offra la possibilità di risparmiare tanta carta imbrattata, forse per la buona salute della nostra capacità di pensare, ed in ultima analisi della nostra società, sarebbe opportuno che l’editoria e chi materialmente la diffonde fossero tutelati, incoraggiati e trattati con i riguardi (ma anche con le pretese) di chi offre un servizio pubblico.
Ed è per questo, e naturalmente perché sono piuttosto antiquato, che mi piace l’iniziativa che si descrive qui
(https://www.repubblica.it/cronaca/2020/01/28/news/la_crisi_delle_edicole_una_notte_bianca_per_salvarle-246985681/) e che troverei una buona idea destinare parte del finanziamento pubblico all'editoria ai giornalai che tengono aperta, davvero, la loro attività.
Il 15 Dicembre Capri ha ospitato,nell'ambito della rassegna CapriWave, il docente Antonio De Falco, apprezzato in tutto il mondo per i corsi di agricoltura rigenerativa e napoletano di origini.
Pare che nessuno sia mai stato profeta in patria, purtroppo.
A vederlo di persona il Dott. De Falco, si capisce subito di avere a che fare con una persona straordinaria, e straordinari sono i suoi insegnamenti.
Si deve fare un grande plauso agli organizzatori della rassegna ed all'amministrazione di Capri, nelle persone di Umberto Natalizio e Ludovica Di Meglio, per aver portato a Capri, seppure per una breve parentesi, un uomo che possiamo definire senza esagerare un Custode della Terra.
Sí perché per chi non lo conoscesse Antonio De Falco progetta orti che rigenerano la terra, continuando magnificamente il lavoro della spagnola Emilia Hazelip, insegnando pratiche per recuperare terreni aridi e desolati e creando sistemi che si auto rigenerano.
Antonio De Falco é un contadino che tocca la terra, al massimo, una volta soltanto, o non la tocca affatto, ma progetta la gestione dell'acqua e della biodiversitá per la creazione di un sistema equilibrato che si autofertilizzi, che attiri gli insetti utili (gli impollinatori) e che tenga a bada gli insetti che possono creare, invece, danni. Il suo intervento a Capri si potrebbe etichettare come un'introduzione alla permacultura, oppure all'agricoltura sinergica, o alla agricoltura naturale. Sono tecniche che condividono i valori di base ma che presentano delle differenze nella pratica. Sentir parlare De Falco e osservare i suoi lavori si capisce come egli non sia, in veritá, etichettabile ma che mischia i saperi pratici con l'unico scopo di supportare il miracolo della natura.
Si è parlato di piante che creano il suolo e la sua fertilitá, ma inevitabilmente si é parlato anche di noi, dell'uomo e del suo legame con la natura e di come tutti gli esseri viventi siano interconnessi. Si é parlato dell'essere vivente più grande della terra che non é un elefante o una megattera, ma di un utilissimo fungo che si estende e si ramifica nel sottosuolo per chilometri e chilometri coprendo un'area grande quanto il continente europeo, capace di trasportare per distanze impensabili nutrimenti e acqua per le piante che gli regalano glucosio. Poi di piante, funghi e batteri che lavorano in simbiosi, sfruttando e promuovendo i processi chimici nel sottosuolo che il loro ciclo di vita, e quello degli organismi viventi amici, creano.
L'incredibile intelligenza che muove le forme di vita più semplici si contrappone alla grande ignoranza dell'uomo che senza avere minima conoscenza della vita del sottosuolo nel passato ha sviluppato pratiche contadine totalmente sbagliate ed oggi con le conoscenze moderne si ostina spesso a curare i sintomi della desertificazione del suolo con la chimica creando ulteriori squilibri, senza affrontare il problema all'origine.
Quando si "gira" la terra si uccidono (vengono bruciati dai gas atmosferici) i microrganismi che popolano il suolo e che sono indispensabili per i cicli di fertilitá, é come se si prendessero i pesci e si mettessero al sole in superficie. Fate vobis.
Quando si strappa una pianta con tutte le radici si priva la terra del nutrimento di questa, e inoltre si rovinano le gallerie sotterrane che potrebbero essere sfruttate da un seme in germinazione che invece deve lottare per scavarne di nuove.
Quando si introducono le macchine agricole, il loro peso compatta la terra distruggendo le bolle di aria dove i batteri si nutrono del glucosio ceduto dalle piante consumando ossigeno e così facendo per ossidazione liberano i nutrienti intrappolati nei cristalli di ferro presenti nel terreno.
Quando si interra letame o materiale organico con la tecnica del sovescio si crea uno squilibrio di azoto e di "indigestione" del suolo a causa dei gas che si sprigionano e che creano putrescenze.
Quando si lascia nuda la terra, per un concetto discutibile estetico di ordine e pulizia, la si lascia in preda alle gelate invernali, all'evaporazione estiva e all'azione del vento. La terra nuda in natura non esiste ed é una follia umana che crea inutili squilibri, come parzialmente infondata è la credenza che le piante competano tra loro per luce e acqua e nutrienti e che quindi hanno bisogno di spazio. Le piante tra loro possono collaborare, anzi in superificie hanno molti benefici se hanno un altra pianta che le faccia ombra, da frangivento o che tenga lontani gli insetti (come le liliacee, i nasturzi, le calendule o i tageti). L'importante accade nel sottosuolo a livello radicale é la competizione esiste solo tra piante che hanno la stessa profonditá di radici, perché si ostacolerebbero nella crescita.
Piante di specie diverse, soprattutto con diverse profonditá radicali e diverse necessitá di nutrienti creano preziosissime sinergie. Queste intuizioni di Fukuoka, biologo e contadino giapponese, fondatore dell'agricoltura naturale, valsero l'equivalente asiatico del premio Nobel a fine anni Ottanta e oggi fortunatamente sembra stanno prendendo piede sempre piú tra gli agricoltori Europei. Fukuoka purtroppo oggi non é piú su questa Terra, il suo ultimo lavoro parla di come rigenerare i deserti. Antonio De Falco, napoletano, lo fa da piu' dal '93, rimanendo fedele a questi insegnamenti, quando in passato spesso erano visti come eresie, recuperando situazioni disperate.
E' stato veramente un dono averlo a Capri e la sala Pollio era piena. Personalmente non credevo che a Capri ci fossero tante persone interessate all'argomento, non é un caso allora se l'hanno chiamata rivoluzione silenziosa, perché sono pratiche che migliorano davvero il mondo ma che non hanno bisogno di clamore, ma sola buona volontá di adottare queste buone pratiche (che per inciso fanno risparmiare anche un sacco di soldi nella gestione dei campi e garantiscono cibi sani).
Davvero un bel segnale per gli orti Capresi, per la Terra.
Mi ha molto colpito la notizia di 11 scalatori morti sull'Everest per sovraffollamento.
La ripeto per farla assimilare in tutta la sua assurdità: 11 morti per sovraffollamento a 8848 m.
Cercate le foto, guardate i video.
Da presunto viaggiatore ci sono luoghi remoti che per la loro incredibile inaccessibilità dovrebbero restare mistici e circondati di magia. La cima dell’Everest era sicuramente una di quelle mete.
Viaggiare adesso è semplice, facile, basta il portafogli adeguato alle esigenze del caso, un po’ di curiosità e, talvolta, una discreta dose di coraggio.
Ogni anno mi riunisco con i miei amici per cercare la giusta meta che sappia amalgamare queste tre peculiarità. Un anno fa per accedere al Taj Mahal abbiamo scavalcato, in un modo orgogliosamente partenopeo, una fila calcolata dalle guide in sette ore circa. Qualche anno prima in Cambogia avremmo voluto osservare, in armonia con l’universo, l’alba sorgere sui templi di Angkor Wat, ma ci siamo ritrovati con altre migliaia di persone che condividevano la nostra stessa opinione. Non c’era più mistero, non c’era più silenzio, semplicemente non c’era più equilibrio tra gli elementi che ci circondavano e l’esperienza assunse un altro significato.
Le notizie dall'Everest si sommano ad altre informazioni, in continuo aggiornamento, che ogni anno ci avvicinano con entusiasmo a mete estreme che diventano, di volta in volta, sempre più democraticamente alla portata di tutti. Queste novità incredibili ci raccontano purtroppo anche di realtà svilite, deturpate, rovinate e, talvolta, annichilite dalla massa. Tutto questo credo sia un processo inevitabile che dovrebbe però essere controllato e gestito con tutte le risorse possibili e la ricerca di tutte le soluzioni necessarie.
Machu Picchu, il mio sogno di viaggiatore fin da adolescente, ha imposto visite con orario fisso e un ticket giornaliero che si aggira sui 250 dollari. Sembra tutto inutile ma spero sopravviva almeno fino al mio arrivo. Sono un viaggiatore egoista.
Venezia sprofonda in maniera lenta ma inesorabile: ora sta provando con i tornelli per gestire il flusso, mentre a carnevale tentano da anni di salvaguardarsi con il numero chiuso.
Potrei approfondire e scrivere dei tanti ecosistemi, irripetibili in natura e quindi unici, che vengono devastati da orde di turisti che mortificano flora e fauna, modificandone anno dopo anno il loro sviluppo e, infine, mettendone a rischio la sopravvivenza.
Pensiamo al nostro mare. Pensiamoci seriamente e in maniera disinteressata ogni tanto. Non ci sono ticket, biglietti d’accesso, permessi, diavolerie o corbellerie che tengano perché le persone sono semplicemente troppe e il business è troppo grande. Inoltre premetto che concettualmente il turismo elitario mi fa schifo e faccio fatica a digerirlo. Ma se qualche limite è necessario, la gestione delle singole situazioni spetta alla lungimiranza degli amministratori, all'intelligenza dei cittadini e all'educazione dei visitatori. Non voglio disquisire qui della qualità di quel turismo, della ricerca ossessiva della foto, dell’idea di perdere un ricordo per immortalarlo meccanicamente in un oggetto; non voglio approfondire l’idea un turista che si reputa al di sopra del luogo che lo accoglie riuscendo così a svilire l’essenza stessa del viaggio. Questo spetterà presto ai sociologi che spero, in cuor mio, siano spietati in merito.
Il turismo è un problema oltre che una risorsa. Il turismo impatta sui mari, sugli ecosistemi, sulla struttura stessa della nostra vita e bisogna gestirlo con oculatezza e nessuna demagogia. In questo ridicolo dibattito elettorale sulla funicolare si è parlato in maniera volutamente confusionaria, per demeriti di alcuni, della possibilità di aprire un collegamento sotterraneo tra i due comuni.
Per anni ho visitato le Dolomiti e ho visto le opere pubbliche che di volta in volta miglioravano la qualità della vita di noi sciatori e dei residenti della Val Gardena. Ogni anno restavamo meravigliati.
Ho però anche visitato le montagne del Nepal, dove non abbiamo trovato un solo traforo e le strade si arrampicano affaticate e tortuose per Km lungo quelle maestose cime. È stato meraviglioso anche quello.
Ogni opzione, ogni opinione potrà essere giusta e condivisibile se ragionata su dati reali ma non si può discutere un’idea così importante, un cambiamento così strutturale in maniera demagogica e mistificatrice, senza affrontare le difficoltà, senza raccontare i procedimenti e le idee a supporto soltanto per salvaguardare qualche “piccolo” interesse o per accaparrarsi l’ultimo voto. Credo davvero che nessun cittadino meriti di essere arronzato così come è accaduto al Caprese in questi giorni sulla questione della funicolare. Non lo meritano neanche quelli di Marina Grande. Ci vuole serietà, competenza e nessuna approssimazione quando si discute di futuro, soprattutto su una questione strutturale ed estremamente complessa come questa.
Oggi presentiamo il libro "Preferenze Dinamicamente Inconsistenti" dell' altro-parlante Alessandro Vinaccia, con sottotitolo: "Politiche dei prezzi in presenza di consumatori con preferenze dinamicamente inconsistenti". C'è da premettere che si tratta di un manuale rigorosamente rivolto agli studenti di economia poiché per una buona comprensione degli argomenti trattati si necessita della padronanza dei concetti della "Teoria dei Giochi" e di strumenti matematici per la massimizzazione di funzioni vincolate. A distanza di anni (è stato pubblicato nel 2013) rappresenta una delle poche fonti, se non l'unica, in lingua Italiana de "il modello dei sé multipli" per quelle scelte dei consumatori la cui utilità è distribuita nel tempo, come può essere un abbonamento in palestra, un contratto di telefonia ecc ecc. Il libro ripercorre principalmente i lavori diversi degli economisti Strotz, di Della Vigna e Malminder, trattando i vari argomenti con un approccio rigoroso e soprattutto con un solido modello economico che permette di "prevedere" gli effetti delle politiche dei prezzi sui consumatori, arricchendo la teoria con esempi matematici in cui vengono passo passo svelati tutti i passaggi.
" In molte occasioni gli individui devono compiere scelte in cui costi e benefici sono distribuiti nel tempo. Può accadere che una scelta ottima compiuta al tempo T per un periodo T+i, sia differente dalla scelta ottima decisa per lo stesso periodo al tempo T+1. Ciò in economia prende il nome di scelta temporalmente incoerente. Tale fenomeno non è affatto raro ed è dovuto alle criticità che scaturiscono dal dovere anticipare il futuro. Diversi studi economici hanno registrato l'evidenza, su campioni significativi di consumatori, di scelte temporlamente incoerenti. A riguardo viene presentata l'analisi di Della Vigna e Malminder su i dati degli abbonamenti di tre grandi health centers americani in cui gli autori individuaronoche una parte significativa degli iscritti "pagava per non andare in palestra", ovvero, in maniera apparentemente irrazionale sottoscriveva un abbonamento mensile quando, poi, il numero delle lezioni frequentate era insufficiente da giustificare l'abbonamento stesso. In maniera analoga i due autori riscontrarono lo stesso comportamento, apparentemente irrazionale, analizzando i dati sulle carte di credito più diffuse; una parte significativa dei consumatori sottostimava sistemicamente il proprio livello futuro di indebitamento e le scelte compiute, ex-post, risultavano essere subottimali. Per analizzare tali problemi di preferenze dinamicamente inconsistenti, nel corso del libro, si adotta il modello dei "sé multipli". Tale modello descrive un ipotetico "sé stesso" in ogni periodo di tempo che massimizza di volta in volta una nuova funzione di utilità. Tale modello viene applicato a situazioni di monopolio e di concorrenza alla Bertrand. Nello specifico questo libro vuole indagare quali siano i contratti ottimali, e quindi i prezzi ed i prodotti che un'impresa offra ad un consumatore che sovrastimi la sua capacità di prevedere lescelte future.."
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e su Amazon.it
INDICE
Introduzione
I) Il tempo, fattore critico nella scelta del consumatore
1.1) Preferenze dinamicamente inconsistenti 1.2) Economia Comportamentale 1.3) Discussione preparatoria al modello dei “sé multipli” 1.3.1) Focus sul modello tradizionale di sconto esponenziale 1.3.2) Prima giustificazione economica dell’incoerenza temporale e degli strumenti di commitment: il modello di Strotz. 1.3.3) Il modello di sconto iperbolico 1.3.4) Il modello β-δ
II) Modello dei “sé multipli” 2.1) Introduzione al modello dei “sé” multipli 2.2) Il modello 2.2.1) Gioco in forma estesa e soluzione con consumatore consapevole del cambiamento delle proprie preferenze (“sofisticato”)
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2.2.2) Soluzione con consumatore inconsapevole del cambiamento delle sue preferenze future (“ingenuo”) 2.2.3) Ingenuità o inesperienza? 2.2.4) Sovrapposizione del modello dei “se multipli” con il modello Beta-Delta 2.3.1) Prezzi di monopolio per consumatori sofisticati 2.3.2) Prezzi di monopolio per consumatori ingenui 2.3.3) I contratti ottimi quando cambiano le credenze a priori dell’impresa monopolista 2.3.4) Screening del profilo del consumatore 2.4) I prezzi in un mercato concorrenziale 2.5) Educare i consumatori ingenui 2.6) Interpretazione dell'"ingenuità" dei consumatori" 2.7) Applicazione del modello a situazioni reali di mercato 2.7.1) Carte di credito e tassi d'interesse "vantaggiosi" 2.7.2) Opzioni negative 2.7.3) Opzioni negative, verifica dei contratti ottimi
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III) Autocontrollo: espansione del modello dei sé multipli 3.1) Un problema di auto-controllo 3.2) Interpretazione di ingenuità 3.3) Contratti ottimali in monopolio 3.3.1) Presentazione del problema per l’impresa 3.3.2) Effetto compromesso 3.3.3) Definizioni utili per l’analisi 3.3.4) Contratti ottimi per consumatori “naive” 3.3.5) Contratti ottimi per consumatori “sofisticati” 3.3.6) Contratti ottimi nel caso in cui il monopolista non conosca ex-ante il profilo cognitivo del consumatore 3.3.7) Contratti ottimi nel caso in cui il monopolista non conosca ex-ante il grado di auto-controllo dei consumatori 3.4) Applicazione del modello: abbonamenti di telefonia mobile.