Dalla caduta del muro di Berlino, 1989, fino ad oggi, la lunga marcia del capitalismo occidentale ha portato la finanza a concentrarsi su un modello unico che veniva considerato “invincibile”. La crisi del credito che ha tempestato l’economia e la finanza occidentale nel triennio 2007-2009, e da cui ancora fatichiamo ad uscire, ha svelato come in realtà questo modello aveva delle grosse carenze.
Qualche tempo fa, come tesi di laurea per l'Università, mi venne suggerito di analizzare un modello di finanza contrapposto al nostro, per evidenziarne gli aspetti negativi e quelli positivi: il modello della finanza Islamica. Negli ultimi vent' anni, la Finanza Islamica è l’unica vera alternativa sviluppatasi al modello occidentale e se oggi tutto quello che ruota intorno all'Islam fa un po' paura perché erroneamente si collega automaticamente alle gesti folli del terrorismo, scoprii, all'epoca, un modo di approcciarsi alla finanza fatto di saggezza ed etica che è andato rovinosamente perduto in occidente. Gli scandali bancari degli ultimi tempi e gli Stati che non sanno minimamente come gestire le voragini create dai banchieri, sono il triste risultato di un occidente che ha perso la bussola e naviga a vista (magari con più calma parleremo delle norme del bail-in e del burden sharing volute dalla Unione Europea e che si sono rivelate a pochi mesi dall'attuazione, a dispetto delle previsioni, un vero fallimento perché estranee al corpo delle leggi dei singoli stati membri e generatrici di situazioni di profonda ingiustizia sociale in quei paesi in cui, negli anni passati, gli organi di controllo hanno omesso di vigilare sul sistema bancario).
Per comprendere quale filosofia stia dietro al sistema bancario islamico, bisogna sapere che il modello è basato sulla legge coranica che vieta alcuni prodotti che sono prodotti fondamentali del sistema capitalista quale, per esempio, il tasso d'interesse (riba), oppure gli investimenti in attività che comportino irragionevole incertezza (gharar), la speculazione (maisir) e gli investimenti in attività economiche definite proibite dal corano (haram) quali la produzione di alcolici e tabacco. Un sistema finanziario ed economico che rispecchiasse i principi coranici è stato per secoli argomento di dibattito tra economisti e studiosi religiosi musulmani. Rimasta però un po' lettera morta, la discussione si accende verso la fine del diciannovesimo secolo, con il processo di colonizzazione. Questo è il momento nel quale le banche occidentali iniziano a stabilirsi nel mondo musulmano e chiaramente sia il mondo degli affari che gli individui cominciano a farne uso. Le autorità religiose emettono delle “fatwa”, editti che sconsigliano alla popolazione di utilizzare le banche occidentali perché ree di violare i divieti coranici (riba, gharar, maisir, haram). Agli inizi degli anni cinquanta in Egitto si inizia a strutturare un nuovo sistema, ma la sua applicazione incontra un ostacolo di tipo monetario: l’Egitto e gli altri paesi musulmani negli anni cinquanta sono fondamentalmente paesi molto poveri che non hanno quindi quel volume iniziale monetario per dar vita ad un sistema finanziario alternativo. Tuttavia continua il dibattito accentrato su un sistema nuovo, non più basato sul tasso d'interesse, che va oltre il “Riba” (che viene considerato uno strumento d'usura come nella tradizione cristiana delle origini) e che nello stesso tempo incorpora al suo interno i principi dell'Islam quali la Zakat ( tassa volontaria che viene versata ogni anno per aiutare i poveri, lo sviluppo della società, e i viandanti pellegrini verso la Mecca). Eppure due progetti molto interessanti vengono realizzati negli anni Cinquanta: uno in Egitto e l'altro in Malesia. Sono i primissimi esempi di finanziamento attraverso un sistema islamico: il primo è un progetto in Egitto per costruire delle abitazioni per la popolazione più povera, il secondo è organizzato da una associazione religiosa sponsorizzata dallo Stato in cui vengono utilizzati i risparmi della popolazione per finanziare il pellegrinaggio alla Mecca di quei fedeli che altrimenti non ne avrebbero le risorse. Si nota già in embrione il concetto fondamentale della finanza islamica di compartecipazione tra istituto bancario (o struttura finanziaria), l'individuo e la comunità, che assomiglia molto al credito cooperativo della cultura occidentale (che in Italia il Governo Renzi, attualmente, sta smantellando).
Fino alla metà degli anni settanta questi progetti rimangono sporadici perché, come già detto, mancava una base monetaria. Tanto è vero che negli anni sessanta un banchiere, a cui chiesero cosa ne pensasse delle banche islamiche, pronunciò queste parole: “E' come il whisky islamico”. Ossia per quegli anni la creazione di un sistema finanziario islamico era una contraddizioni in termini e difficilmente sembrava avverabile. Tutto cambia negli anni 1973-1974 quando la prima crisi petrolifera genera un flusso incredibile di denaro da occidente verso oriente, in particolare verso quei paesi produttori di petrolio. Una parte importante di questo flusso ritorna in occidente sottoforma di investimenti in Buoni del Tesoro americani (il cosiddetto riciclaggio dei petrol-dollari ideato del Fondo Monetario che attutisce l'impatto dello shock petrolifero nel breve periodo) mentre una piccola parte rimane nei paesi musulmani e viene utilizzata per creare la prima banca islamica. Nel 1974 nasce la prima banca islamica, la “Islamic Development Bank”, creata per volontà dell' Arabia Saudita, Algeria e Somalia, che adotta ufficialmente quale sistema di controllo finanziario la Shari'a. Obiettivo di questa banca è far sì che i paesi musulmani più poveri possano sia in Africa che in Asia poter attingere a dei fondi che sono depositati dai paesi ricchi; ricalcando un modello di una banca di sviluppo tradizionale.
La struttura poggia tutta su un comitato, lo Shari'a Board, che è composto da banchieri ma anche da studiosi religiosi (in italiano lo potremmo tradurre come il consiglio d'amministrazione della Shari'a) che controlla se tutti prodotti venduti dalla banca siano conformi alla legge islamica e che non vadano contro i principi etici della Shari'a (riba, gharar, maisir e haram).
Questo tipo di sistema non deve essere visto come una sorta di controllo o di censura, anzi, protegge l'individuo investitore. Per maggior chiarezza prendiamo un esempio.
La Philip Morris, società che produce sigarette, fino a qualche anno fa era proprietaria della Kraft: se qualcuno investiva i propri soldi in un fondo d'investimento, poteva accadere che questo venisse investito in azioni della Kraft a tutto beneficio, in realtà, della Philip Morris. Magari c'è stato qualcuno che era contrario al fumo ma che ha finanziato inconsapevolmente la Philip Morris in questo modo. Un processo di questo tipo non può avvenire in una banca islamica perchè su ogni operazione avviene il controllo da parte dello Shari'a Board. Uno dei problemi fondamentali della crisi attuale è che le banche hanno subito una sorta di metamorfosi, quindi da istituti di credito che raccolgono il risparmio e lo ridistribuiscono all’interno della società, e quindi che hanno una funzione sociale oltre ad essere aziende a scopo di lucro, sono diventate essenzialmente delle società che giocano in borsa, trasformandosi in operatori di borsa ad alto rischio. La parte finanziaria della banca ha preso il sopravvento sulla parte commerciale. In una banca Islamica tutto questo non può avvenire, proprio perché questo consiglio d’amministrazione della Shari’a controlla anche le divisioni che esistono tra sezioni commerciali e sezione finanziaria. I risparmi quindi raccolti dalla banca commerciale difficilmente finiscono nella parte finanziaria senza chiaramente la volontà dell’individuo di fare ciò. In ogni caso nel sistema bancario islamico la speculazione fine a se stessa non esiste e quindi si tratta di un’attività d’investimento nell’economia reale capace di produrre ricchezza. Il denaro deve essere sempre investito nell’economia reale, ed è questo il principio dei Sukuk, prodotti finanziari islamici che possono avere i connotati delle obbligazioni o delle azioni ma che sono sempre relazionate ad un’attività reale. Va da sé che la cartolarizzazione del debito così come è avvenuta in occidente, (quindi praticamente la vendita di un debito da una banca all’altra, la produzione di obbligazioni da pacchetti di mutui che poi diventano uno strumento della cartolarizzazione da una banca all’altra), nel sistema bancario islamico non può accadere. Questo ci porta ad analizzare un altro elemento importante delle differenze che esistono tra i due sistemi: nella finanza islamica abbiamo principalmente la condivisione del rischio, ossia tra la banca e il cliente esiste un rapporto di cooperazione che li rende soci in affari. Quindi esiste una forte componente sociale all’interno del sistema finanziario, mentre, invece, nel nostro sistema è esattamente il contrario.
Il modello occidentale è basato infatti sul concetto di massimizzare i profitti e minimizzare le perdite attraverso la differenziazione del rischio, il rischio viene quindi venduto, viene spostato progressivamente proprio per raggiungere questo obiettivo.
Nel caso della finanza islamica, quando per esempio si stipula un operazione assimilabile al mutuo, si stabilisce una relazione tra il cliente e la banca che non può essere scissa, che inizia con l’acquisto della casa da parte della banca e finisce nel momento in cui il soggetto che ha contratto il mutuo riesce a pagarne tutte le rate. Bisogna precisare che queste non sono basate sul tasso d’interesse (che viene considerato Riba) ma che si tratta più di un affitto a riscatto: quindi si stabilisce qual è l’ammontare totale, si divide per ogni mensilità e si paga. Tale rapporto vincola i due soggetti e non può essere in nessun modo scisso, quindi il trasferimento del debito per mezzo di cartolarizzazione non è concepito, e tale impostazione rende immune il modello da eventuali comportamenti opportunistici (dai quali è scaturita la crisi dei sub-prime).
Un’ altra differenza interessante ruota intorno al concetto della famosa “mano invisibile” di Adam Smith . Egli afferma che ogni individuo nella società persegue l’interesse personale, vuole massimizzare il profitto e minimizzare le perdite. Motore principale del sistema liberista diviene quindi l’egoismo: provvidenzialmente, però, attraverso la somma dei comportamenti egoistici di tutti gli individui si giunge a perseguire l’interesse della collettività.
Fino al 2008 si pensava che questa mano magica fosse infallibile, tutti gli economisti ne discutevano, addirittura nel 2006 Greenspan disse che era un miracolo che in un sistema finanziario così complesso, dove ci sono tre miliardi di transazioni giornaliere, la teoria della mano invisibile funzionasse così bene. Adesso, purtroppo, sappiamo, che l’egoismo di pochi può battere la mano invisibile, ed è stato uno shock.
La finanza islamica invece si basa su un concetto contrapposto alla mano magica, non esiste il concetto di comportamento egoistico, esiste un concetto di tribalismo, ossia di coesione tra gli individui, di aiuto reciproco all’interno della comunità. La parola tribale quindi si svuota delle connotazioni negative che siamo soliti attribuirgli e acquisisce un significato estremamente positivo quanto insolito all’interno un sistema bancario.
Bibliografia:
Alessandro Vinaccia - La Finanza Islamica: analisi di un modello contrapposto - (2011)