Sembra che l'esito del referendum di ieri sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione Europea sia destinato a segnare le sorti del continente e dei suoi abitanti.

Nell'ultima settimana due episodi avevano segnato il ritmo della campagna referendaria. Dapprima la Corte di Giustizia Europea aveva sancito la rispondenza al diritto comunitario della norma che condiziona l'accesso al generoso welfare state britannico, da parte dei cittadini di altri stati UE, al fatto di vivere sotto le insegne di sua maestà da almeno cinque anni. La sentenza confermava la legittimità dell'accordo firmato tra Unione Europea e Gran Bretagna sulle nuove regole della membership britannica e segnava un punto per i fautori della permanenza di Londra nella UE. In secondo luogo l'assassinio della deputata laburista Jo Cox, da parte di un fanatico del movimento antieuropeista, aveva innalzato ulteriormente il tono drammatico del dibattito piazzando all'apparenza, e certamente nel modo più tragico, il secondo punto a favore della permanenza. In realtà la campagna per brexit aveva una presa popolare così forte che né i giudici comunitari né addirittura un assassinio hanno potuto evitare il fattaccio dell'uscita britannica dall'UE.

A ben vedere sarebbe ora il caso di riflettere sui veri effetti di questo fattaccio.

Che il referendum sia stato un evento lacerante per la Gran Bretagna lo possiamo ben capire: il suo ruolo internazionale, la sua rilevanza commerciale e la potenza del suo sistema finanziario dipendono dal rapporto con l'Unione Europea. Ci é molto meno chiaro perché l'uscita inglese dall'Unione dovrebbe minare quest'ultima alle fondamenta, che peraltro traballano ormai vistosamente da anni. E infatti sono proprio i più euroscettici a salutare Brexit come la fine dell'Europa Unita, sperando che a furia di ripeterlo questo mantra possa avverarsi. Naturalmente non é possibile dire che l'Unione goda di ottima salute, ma le cause del suo malanno sono da ricercare più nelle pessime politiche adottate nell'ultimo decennio che nell'abbandono britannico. Del resto le suddette pessime politiche sono state proprio figlie della necessità di conciliare la missione unificatrice con gli interessi particolari e le velleità nazionali dei membri più riottosi.

Per inciso: se si fossero realizzate le politiche giuste la Gran Bretagna sarebbe fuori dalla UE da almeno dieci anni.

Ora l'effetto immediato di Brexit sarà certamente il riacutizzarsi delle difficoltà finanziare europee, vuoi per la difficile riorganizzazione dei mercati, vuoi per il crescere delle aspettative di disgregazione del sistema comunitario, vuoi per il pericolo di imitazioni. Tuttavia mantenere la barra dritta in una fase del genere garantirebbe, in un tempo ragionevole, un agevole superamento della crisi.

La Gran Bretagna non ha mai adottato l'euro come moneta nazionale. È da escludere che stati della zona euro possano indire referendum nazionali sull'uscita dall'Unione, sembra anzi più probabile che a disgregarsi sia il Regno Unito, sotto la spinta europeista di Scozia ed Irlanda del Nord. Inoltre quella della Gran Bretagna fuori dalle istituzioni comunitarie è una storia che si ripete. Il Regno Unito non è stato ammesso prima del 1973 nella allora Comunità Economica Europea, ed anzi, fino ad allora, aveva portato avanti un fallimentare processo di integrazione extra-CEE con altri stati del nord Europa. Il fatto che fino al 1973 l'Europa unita, seppur in condizioni non paragonabili a quelle odierne, abbia resistito senza le doppiezze e le pedanterie britanniche ci fa ben sperare anche per il futuro, dopo una prima fase di isterismo dei mercati e dei soliti politici abituati a strillare.

Infine, ci sentiamo di dire che solo in un caso Brexit sarà fatale alla UE: se anziché accelerare il processo di integrazione e sviluppare un nuovo spirito riformista e federalista si continuerà la politica dei compromessi al ribasso, del vivacchiare aspettando che passi la tempesta, dell'esclusione del controllo democratico dalla vita politica comunitaria. La legittimità e l'appeal delle istituzioni europee possono essere recuperate solo con un ruolo più incisivo del Parlamento, che consenta, nella necessità di devolvere altre funzioni all'Unione, di accrescere il controllo e la partceipazione delle popolazioni del continente.

Finita la fase degli allargamenti allegri e non adeguatamente preparati è ora di concentrarsi su chi fa già parte dell'Unione e, se i leader del continente troveranno un po' di coraggio per andare avanti, Brexit potrà anche essere l'inizio di un nuovo capitolo felice della costruzione dello stato europeo. Qualora si superassero una volta per tutte da un lato i tecnicismi esasperanti prodotti in decenni di integrazione forzata, e dall'altro le banalità sull'eliminazione dei passaporti come unico frutto dell'Unione Europea, potremmo davvero cominciare a pensare all'Europa come nazione, e sarebbe una bella idea.

Che di questa nazione facciano parte o meno Camilla Parker Bowles e Mr. Bean sarà a quel punto irrilevante.