Questa storia comincia il 6 agosto 1967. Fu approvata infatti quel giorno di ormai cinquantadue anni fa la cosiddetta legge “ponte”, la 765 del 1967 appunto. Fino a quell'epoca, in qualsiasi parte d’Italia, chi volesse costruire un nuovo immobile o ampliarne uno già esistente non doveva preoccuparsi poi troppo. Bastava in pratica armarsi di attrezzi e materiali e possedere qualche rudimento nell'arte della fravica per fare grosso modo quello che si desiderava.
La legge “ponte” invece introduceva un sistema di autorizzazioni per cui, da quel momento in poi, prima di mettersi al lavoro occorreva procurarsi i necessari permessi e non è che proprio tutto fosse concesso. Tra le tante cose infatti, la legge modificava gli indici di edificabilità preesistenti, per cui la cubatura delle nuove costruzioni dipendeva, a seconda dell’area dove si intendeva edificare, dalla consistenza degli immobili già esistenti o dall'estensione del terreno su cui si costruiva. Fu quella insomma la prima stretta all'attività edilizia.
Tutto sommato però la legge ponte non chiudeva del tutto alla possibilità di farsi una casarella o allargare quella, magari angusta o scomoda, che già si possedeva. D'altro canto, diventava allora più stringente l’esigenza, per i comuni, di dotarsi di strumenti urbanistici (il piano regolatore) che consentissero uno sviluppo ordinato e sostenibile degli insediamenti.
Risale così a quel periodo (1972) l’inizio dei lavori per l’approvazione del piano regolatore di Anacapri. La procedura per l’entrata in vigore del piano era ben complessa e prevedeva, come ultima fase, l’emanazione del piano stesso, formato a livello locale, da parte delle autorità regionali. E dunque il piano regolatore di Anacapri sarebbe entrato effettivamente in vigore solo nel 1984.
Non che in quel lungo lasso di tempo non ne siano poi successe di cose. Dapprima la legge Bucalossi (10/1977) diede una stretta agli indici di edificabilità nei comuni privi di piano regolatore, stretta superata in virtù dell’esistenza di una sorta di normativa regionale sostitutiva dello strumento urbanistico (art. 4 della stessa legge).
Poi, nel 1978-79, con lo stralcio e l’emanazione della parte di piano regolatore relativa all'edilizia residenziale pubblica, contenente l’individuazione delle aree di edificazione e i relativi elaborati plano-volumetrici, si concretizzava la possibilità di costruire nuovi agglomerati residenziali. Fu così assegnata nel 1980 a sei cooperative edilizie la costruzione nelle aree del Pozzo, di Monticelli, della Vignola, della circumvallazione e di Carlo Ferraro. Anche altre aree erano individuate nello stralcio, ma quelle cooperative non si sarebbero poi mai realizzate.
Inoltre nel 1982 una nuova valvola di sfogo fu concessa agli operosi Anacapresi. Approfittando di un temporaneo vuoto normativo rispetto alla possibilità di costruire entro 500 mt. dalla costa, l’amministrazione di Fausto Arcucci varò l’operazione, rimasta nel bene e nel male nella storia, denominata 0.10. Applicando gli indici di edificabilità della legge del 1967 fu infatti consentito ai Ciammurri che avessero terreni fuori dal centro abitato di edificare 1 metro cubo di nuovo fabbricato per ogni 10 metri quadri di terra. Il risultato certo impressionante, anche qui nel bene e nel male, fu la concessione in un sol colpo di circa 300 licenze edilizie.
Qui occorrerebbe aprire una parentesi, perdonerete la facile battuta, grande come una casa. Noi però la concessione per una parentesi così grande non l’abbiamo e quindi ci limitiamo a riportare i dubbi che da quell’epoca sono rimasti in piedi: fu lo 0.10 una soluzione utile alle esigenze della popolazione o aprì solo la strada ad una grande speculazione edilizia? Da quel provvedimento e dal movimento cooperativo partì uno slancio che ha portato Anacapri nella contemporaneità anche dal punto di vista turistico o si trattò di barbari imbruttimenti del paese? Forse, come spesso accade, ognuna di queste antinomie porta in sé qualcosa di vero. Certo, vista la situazione attuale, il processo alla storia sarebbe un esercizio quanto mai estemporaneo, oltre che evidentemente poco utile.
Siamo dunque arrivati al 1984-1985 ed all'entrata in vigore definitiva del piano regolatore. In quel biennio succede però pure un’altra cosa: la legge 47 del 1985 introduce il primo condono edilizio. 31 salva tutti sarebbe il caso di dire.
E pure 32 salva tutti. Il primo governo Berlusconi dura solo sei mesi ma fa in tempo, con la finanziaria 1995, a riaprire i termini del condono 1985. Caro Silvio, le toghe rosse ti avrebbero poi fatto torcere, ma Anacapri ti vuole bene. Sappilo.
Però dopo la festa si paga il conto, ed eccolo: nel 1995 il Ministero dei Beni Ambientali, di cui è emanazione sul territorio la soprintendenza, emana il piano paesistico per l’isola di Capri. Sta qua la mannaia sull'attività edilizia a quanto si dice. Il piano paesistico divide il territorio in tre zone:
P.I. che sta per protezione integrale, dove praticamente nulla si può fare ed addirittura vengono introdotte regolazioni stringenti anche all'uso agricolo del suolo.
P.I.R. che sta per Protezione Integrale con Restauro, dove c’è una tutela appena più leggera rispetto a quella della P.I., ad esempio riguardo all'esistenza di una viabilità carrabile esclusa nella prima zona.
R.U.A. che sta per Restauro Edilizio ed Ambientale. Qui la tutela non è totale come nelle altre due zone, ma siamo pur sempre nell'ambito del restauro senza alcun aumento di volume. Inoltre è concessa la possibilità di destinare spazi ed edifici ad attrezzature pubbliche per migliorare gli standard urbanistici (parcheggi, verde pubblico, scuole etc.)
Insomma, di ampliare o costruire non c’è verso. Da nessuna parte.
Altra grande prerogativa del piano paesistico è quella per cui ad esso non possono derogare neppure i piani regolatori dei due comuni. Sono quindi questi ultimi a doversi adattare per legge al piano paesistico. Quindi, il piano regolatore di Anacapri, elaborato a partire dal 1972, stralciato nel 1979, adottato nel 1984 e superato nel suo decennio di vita dai due condoni, muore nel 1995. Nulla più si muove su quel fronte fino all'adozione del PUC nel 2018. Se volessimo esaminare il PUC poi avremmo bisogno di altri dieci articoli e difficilmente sapremmo discuterne tutti gli aspetti.
Resta più di qualche domanda: se la principale normativa di riferimento è il piano paesistico del 1995, quanto e quale spazio resta per le esigenze abitative degli isolani?
Di fronte al fatto che la popolazione residente è passata dalle 5.324 anime del 1991 alle 7.018 del 2018, ed all'evidenza che da qualche parte ste persone dovranno pur vivere, le istituzioni sovracomunali, adeguatamente sollecitate, sarebbero potute restare l’impassibile presidio di una normativa così restrittiva da risultare controproducente?
Insomma, un’altra strada per venire incontro, nella legalità, alla domanda di case di Capresi ed Anacapresi si sarebbe potuta trovare?
La tendenza alle costruzioni ed agli ampliamenti abusivi si sarebbe potuta bilanciare, ad esempio, con una nuova e maggiore offerta di edilizia residenziale pubblica?
Tante domande che oggi non hanno risposta.
Noi, nelle prossime settimane, cercheremo di capirne di più e proveremo ad approfondire altre questioni che oggi incidono profondamente sul fabbisogno abitativo a livello locale come, ad esempio, l’exploit delle strutture ricettive extraalberghiere in seguito alla legge regionale del 2001 e la lavorazione delle pratiche relative ai condoni 1985 e 1995 che, in buona misura e per diversi motivi, giacciono ancora negli uffici comunali.
Questa storia, se partiamo dal 1967, è durata già troppo. Ma durerà ancora a lungo. Ci vediamo.