Tutto parte sempre dalla notizia, ricevuta dall'Autorità, di un abuso edilizio.
La notizia può pervenire in svariati modi: per conoscenza diretta dell'Ufficio Tecnico Comunale o della Polizia Giudiziaria che, passando davanti ad un cantiere all'opera approfondisce l’esistenza o meno di autorizzazioni ai lavori; oppure sempre l’U.T.C., nell'esaminare una pratica, va a fare un sopralluogo sui posti, e scopre nuovi abusi. Ancora, la notizia può giungere da una denunzia: da parte del vicino invidioso, precedentemente sgamato (del tipo: macomeiostavostavofacendosololacamerettapericriaturiequellolàsièfattolavilla), di parenti con cui si è andati a finire male (del tipo: motelafacciopagare), di un normale cittadino (pieno di cazzimma) che, passando davanti a una costruzione che prima non c’era, ne informa l’Autorità.
Insomma tutto parte da una notizia, che viene approfondita dall'Autorità, tramite un sopralluogo per l’accertamento di un abuso edilizio.
Da questo accertamento partono due procedimenti, l’uno amministrativo, l’altro penale.
Partiamo dal primo. I tecnici del Comune si recano sui luoghi del presunto abuso, e compiono l’accertamento delle opere abusive, redigendo una relazione di tutto ciò che riscontrano sul posto. Lo stesso Ufficio invia al responsabile dell’abuso, come primo atto, l’Ordine di sospensione dei lavori. A tale ordine, entro 45 giorni, segue un successivo provvedimento, notificato al malcapitato abusivista, ossia l’ordinanza di ingiunzione alla demolizione delle opere riscontrate, da effettuarsi entro 90 giorni dalla notifica dell’atto stesso. Con tale provvedimento, il responsabile degli abusi viene avvisato che dovrà demolire le opere contestate, pena: l’acquisizione gratuita del manufatto al patrimonio comunale, per eseguire la demolizione coattiva delle opere. E di questo parleremo a breve.
Decorsi i 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza di demolizione, viene fatto un successivo controllo da parte dell’Ufficio Tecnico per verificare se l’interessato ha proceduto alla demolizione, così come ordinato. In caso di inottemperanza, che avviene nel 99,9% dei casi, i tecnici comunali redigono il Verbale di inottemperanza all'ordine di demolizione e notiziano il proprietario che l’immobile viene acquisito dal Comune. Da quel momento in poi, non solo le opere abusive, ma anche una porzione della proprietà fino a dieci volte l’area di sedime (si intende il terreno sul quale la casa è costruita) verrà acquisita al Patrimonio Comunale per la demolizione.
Non solo, la legge 164 del 2014 ha inferto un altro duro colpo all'abusivista, già provato dalle succitate sciagure: in caso di inottemperanza alla demolizione, lo stesso sarà soggetto ad una sanzione pecuniaria che va dai 2.000€ ai 20.000€. Già era bello il petrusino…
Ci si chiede quale sia il motivi di tale accanimento verso chi, a volte per speculazione, spesso per esigenza abitativa, abbia commesso un abuso edilizio. Su questo tema, l’importante sentenza della Corte Costituzionale n. 104/18 ha chiarito il senso di queste normative, sostenendo che il bene primario da tutelare è l’ambiente, costi quel che costi.
Per l’art. 107 D.lgs. 267/00, il Comune è il referente del procedimento amministrativo edilizio. Per tale ragione, è proprio al Comune che viene assegnato il gravoso compito di procedere all'abbattimento delle opere abusive, e di richiedere poi, in danno, all'abusivista le spese sostenute per l’abbattimento. Doppio scacco quindi. Non solo quello che hai costruito deve essere distrutto, ma il Comune diventerà proprietario di ciò che ne rimarrà, pagherai la sanzione e, in più, ti verranno chieste le spese sostenute per la demolizione (progetto, incarico ditta, lavori, smaltimento di materiali ecc.). L’art 31 della legge 47/85 (ora DPR 380/01) prevede che l’acquisizione da parte del Comune deve essere fatta al solo scopo del sostituirsi al proprietario per ottemperare all'ordine di demolire.
C’è solo una scappatoia. Una soltanto. Ed è molto stringente.
L’unico - e solo - caso in cui il Comune, secondo il citato articolo, potrà evitare la demolizione è quello in cui il Consiglio Comunale deliberi il pubblico interesse al mantenimento dell’opera abusiva, sempre che questo non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico. Insomma, serve, per non abbattere, un motivo valido, che venga dichiarato dal Consiglio Comunale, previo parere della Commissione Locale per il Paesaggio che attesti che l’opera non contrasta con gli interessi sopra citati.
Infine, beffa di tutte le beffe, la proprietà non potrà ritornare di diritto all'abusivista – anzi, secondo la sentenza della Corte Costituzionale, sarebbe proprio quello da evitare – ma deve essere messa a bando pubblico e assegnata a cittadini che hanno diritto ad un abitazione, inseriti in una apposita graduatoria. Così si conclude il procedimento amministrativo.
Passiamo al secondo, il procedimento penale.
Facciamo un passo indietro. Durante l’accertamento del presunto abuso, quando l’Ufficio Tecnico si reca sui luoghi, fa una relazione che invia alla Procura della Repubblica, che potrebbe richiedere un sequestro delle opere, che il GIP deve convalidare entro 48 ore. E così, da quella relazione, partono le indagini del procedimento penale.
Dopo l’avviso di conclusione indagini si passa al processo. Processo che potrà concludersi con una condanna, un’assoluzione oppure una dichiarazione di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Negli ultimi due casi il Giudice dispone in sentenza “il dissequestro delle opere e la restituzione dell’immobile all'avente diritto, avente diritto che potrebbe essere il Comune o l'abusivista, a seconda dei casi (ossia se c’è stata acquisizione o meno).
In caso di condanna per il reato edilizio, invece, la sentenza imporrà al condannato la demolizione dell’immobile. Un diverso e secondo ordine di demolizione, che si aggiunge a quello amministrativo. Nel momento in cui la condanna diviene definitiva, la Procura emette il provvedimento di R.E.S.A. (Registro Esecuzione Sanzioni Amministrative), ossia impone al condannato di eseguire ciò che aveva disposto la sentenza ed, in particolare, la sanzione della demolizione.
A quel punto non c’è scampo. C’è un ordine prescritto da una sentenza da eseguire. E va eseguito. Questo succedere per qualsiasi sentenza, a prescindere dal reato commesso. Come in caso di condanna per rapina, ad un certo punto, dopo che la sentenza diventa definitiva, il condannato riceve l’ordine di costituirsi in carcere. E non c’è scampo, è una pena che va eseguita.
Non è dato sapere in quale momento la Procura prenderà in mano, tra le migliaia di fascicoli, la R.E.S.A. di Tizio o di Caio e deciderà di controllare se è stata eseguita o meno.
Ma, una cosa è certa: prima o poi, succederà.