Appena un anno fa sull'isola azzurra impazzava la campagna elettorale.
Capri e Anacapri, due comuni sulla stessa roccia, vicini geograficamente ma molto distanti concettualmente.
Il comune di Capri è “in”, con le sue boutique e le sue vetrine, il suo “salotto” invidiato da tutto il mondo, la mondanità e la movida, un luogo perfetto per esibire l’ultima moda o per immortalarsi in un selfie da rilanciare su Instagram alla ricerca di visualizzazioni e like; un luogo dove la vita corre di giorno e di notte, che sia al bar in Piazzetta o su un tavolo dell'Anema e Core.
Anacapri è invece il soggetto di un quadro impressionistico, con i suoi colori vivaci,i suoi paesaggi, i tramonti mozzafiato, la tranquillità delle stradine del centro storico, i negozi di artigianato, le passeggiate nella natura a picco sul mare o su in cima alla montagna, un luogo perfetto per allontanarsi dallo stress e dalla frenesia che caratterizza la vita della società odierna; un luogo dove il tempo sembra essersi fermato.
Di quel periodo ricordo bene i vari temi portati avanti dalle diverse liste di candidati nei rispettivi comuni: l’Area Marina Protetta, la necessità di regolare i collegamenti marittimi, il problema dei collegamenti interni, la funicolare per Anacapri si o no?, il rifacimento di Piazzale Europa, la bretella verso Anacapri, gli abusi di necessità, la tutela del mare, i posti barca, la nicchia al cimitero, meno tasse per tutti.
E poi ancora: che turismo vogliamo? Quello di massa che ingorga le strade o quello dei Vip che fanno pubblicità?
Che mare vogliamo? Quello dove ognuno si compra una barca e fa i fatti propri, o un mare pulito, limpido, tranquillo, sicuro per chi ci lavora e per chi è in vacanza?
Da anni ormai la vivibilità dell’isola, dei propri residenti e dei propri turisti, nonché la fauna e la flora stessa venivano spesso messi in secondo piano da un qualcosa di decisamente più importante: il Dio Denaro.
E questo faceva sì che l’isola nei mesi estivi diventasse un luna park, una Disneyland circondata dal mare, una grande vacca piena di latte da spremere ogni giorno fino all'ultima goccia, fino allo stremo.
Un anno dopo siamo qui, rinchiusi nelle nostre case ad aspettare che cosa succederà. C’è chi è senza lavoro, chi senza soldi, chi senza cibo, chi senza voglia. Viviamo in una sensazione di paura verso il prossimo, se poi questo viene dalla terraferma meglio scappare che non si sa mai.
Ecco che l’unica grande certezza su cui si è sempre basato il sistema economico caprese è crollata: la vacca non c’è più.
Niente turisti, niente lavoro, niente soldi, crisi per tutti. Il mercato del lavoro caprese, un mercato a mio parere fragilissimo, gonfiato e senza alcuna forma di garanzia, soprattutto per i lavoratori, ne uscirà distrutto.
E mentre noi siamo chiusi nelle nostre case con le nostre angosce e le nostre paure, fuori dai portoni c’è un “qualcosa” che se la sta ridendo: l’isola di Capri.
E non parlo del “sistema isola”, ma di quella che è la nostra vera casa, quella che fino a ieri è stata oltraggiata in tutti modi da chi ci vive e ci lavora. Ed ecco che il mare è tornato pulitissimo, pescoso come mai; la natura è più ricca e più verde; i profumi, a detta di qualche anziano, sono quelli degli anni del dopoguerra. Gli uccelli cantano e volano, a migliaia, come fossero le uniche creature che rompono il silenzio; già, Il silenzio… uno straordinario silenzio. Sembra quasi che l’uomo si sia improvvisamente estinto lasciando la possibilità a tutti gli altri esseri viventi di riprendere il proprio spazio.
Mentre un anno fa, in occasione delle elezioni amministrative, si facevano proposte su come migliorare l’economia turistica isolana, che oggi si trova in ginocchio a causa dell’ attuale emergenza sanitaria, ecco che ci viene offerta su un piatto d’argento la più grande opportunità degli ultimi 50 anni: quella di creare un nuovo “sistema”.
Le indicazioni che ci vengono fornite per la ripartenza del prossimo futuro tendono tutte verso un unico punto: garantire sicurezza e distanza tra le persone. Questo, nella nostra realtà, significa che sull'isola dovranno necessariamente arrivare meno persone, avremo meno possibilità di mobilità, meno posti a sedere nei ristoranti, minor richiesta di posti letto, meno folla nei lidi balneari, nei bar, tra le strade dei centri storici. Facilmente tutto ciò si traduce in meno introiti per il sistema economico, minor domanda di servizi, minor offerta di lavoro: detta così sembra una catastrofe.
Io invece continuo a vederci un’opportunità: quella di avere il tempo, oggi, di cambiare le cose. Mentre pochi mesi fa ci era concesso di blaterare all'infinito su cosa fosse meglio per l’isola (senza poi in realtà prendere mai una scelta difficile e coraggiosa), la gravità della situazione attuale ci impone nuove dinamiche.
Parlare di turismo sostenibile, di sicurezza, di mobilità; di tutela del mare, della costa, della flora e della fauna; programmare una stagione turistica non più su 6 ma su 9/10 mesi, rendendo Capri una meta ambita anche in periodi di “bassa stagione”; analizzare un mercato del lavoro interno fragile, dove i posti di lavoro più gratificanti economicamente sono quelli in cui spesso non c’è rispetto di un orario, quasi per un tacito “do ut des” tra datore e lavoratore; parlare del problema abitativo, dove la popolazione residente spesso trova difficoltà nel reperimento di un alloggio, molto spesso dando inizio a fenomeni di abuso edilizio; iniziare a regolamentare alcune attività come il noleggio barche o le attività di alloggio extra-alberghiere.
Queste sono solo alcune delle tematiche di cui necessariamente si dovrà discutere; lo si dovrà fare a livello istituzionale, di imprenditoria, di associazioni di categoria.
Il paradosso è che sono gli stessi temi di quasi un anno fa, con una sola differenza: prima potevamo far finta di scegliere, oggi non più. La riorganizzazione dell’attività turistica ed economica rappresenta non solo una necessità ma un obbligo; ne va del futuro di noi tutti. E il modello cui aspirare non è certo quello che ci lasciamo alle spalle.
“Coloro che sono abbastanza folli per cambiare il mondo, di solito lo fanno”.